Alcune associazioni hanno notificato nella mattinata odierna un ricorso al Tar Emilia-Romagna per l’annullamento di alcuni provvedimenti amministrativi regionali (delibere di giunta 194 e 333 del 2024 e determina direttoriale 2596/24), con cui è stato introdotta una prestazione sanitaria per assistere medicalmente e farmacologicamente il suicidio assistito, e con cui sono stati costituiti due organismi consultivi di totale derivazione regionale per verificare la presenza del pre-requisito delle cure palliative e gli ulteriori quattro requisiti, solo in presenza dei quali la sentenza della Corte costituzionale n. 242/2019 ha ritenuto incostituzionale il delitto di aiuto al suicidio di cui all’art. 580 del codice penale. Si tratta delle associazioni Centro Studi Rosario Livatino, Comunità Papa Giovanni XXIII, Esserci per essere, FederVita Emilia-Romagna, Forum delle famiglie e associazioni familiari, Lab.ora, Le vedette, Medicina e Persona, Movimento per la Vita Italiano, Medici Cattolici Italiani, network “Ditelo sui tetti”, Osservatorio “vera lex?”, Unione Giuristi Cattolici di Reggio Emilia, Piacenza e Pavia, Nonni 2.0, Scienza e Vita. Altre associazioni proporranno interventi “ad adjuvandum”. Le associazioni, si legge in una nota diffusa oggi, ritengono di dover “proporre ogni iniziativa perché sia prioritariamente tutelata dal Servizio Sanitario Pubblico la vita fragile, consapevoli che ogni ‘legalizzazione’ del suicidio medicalmente assistito e dell’eutanasia significa proporre un messaggio pubblico di disvalore verso soggetti più deboli, come hanno dimostrato anche recenti ricerche scientifiche (cfr. Dalla Zuanna- Colombo, La demografia del fine-vita, 2023)”. In tal senso, esprimono particolare “preoccupazione per il fatto che un argomento tanto significativo sia stato affrontato addirittura in sedi meramente amministrative, finendo per essere sottratto a un dialogo nelle sedi più adeguate e spezzettato in una inammissibile diversità di decisioni sullo stesso territorio nazionale”. Nel ricorso si argomenta, perciò, come la materia non possa appartenere alla competenza regionale e si documenta come le decisioni dell’Amministrazione si allontanino sensibilmente dagli stessi contenuti della sentenza n. 242/2019 della Corte costituzionale, la quale, in particolare esclude che esista un “obbligo” di assistenza sanitaria teso a procurare la morte e, proprio per la tutela dei soggetti più “vulnerabili”, affida la “verifica” circa la presenza dei requisiti previsti per l’esimente dal reato agli unici organi competenti anche nella sperimentazione dei farmaci e dei presidi sanitari, che abbiano una uniforme disciplina su scala nazionale (ovvero i Cet, come indicato anche dal Cnb il 24.2.23), il che esclude che ogni regione possa coniare valutatori a proprio piacimento. Si auspica che anche le ragioni proposte in sede giurisdizionale possano essere occasione di una più prudente riflessione da parte delle Amministrazioni regionali, nel superiore interesse di una vera tutela dei più deboli.