“Ho l’impressione che l’Africa attiri l’interesse di alcuni solo quando si tocca il tasto investimenti. Certamente servono investimenti per pensare allo sviluppo, non voglio negarlo. Ma gli investimenti non mancano in Africa, non sempre così puliti, non sempre di reale beneficio alla popolazione”. Così monsignor Christian Carlassare, vescovo di Rumbek in Sud Sudan, commenta in una intervista al Sir il Piano Mattei per l’Africa annunciato dal governo italiano. Il vescovo comboniano di origine vicentina cita le parole di Faki Amhamat, presidente della commissione UA (Unione africana), che ribadiscono “la libertà di scegliere gli alleati liberamente, senza doversi allineare a un blocco rispetto a un altro, senza imporre nulla e senza che nulla sia imposto a noi”. Come pure il fatto che l’Ua “avrebbe preferito essere consultata”. “L’Africa stessa vuole avere voce e potere decisionale su ciò che la riguarda – afferma monsignor Carlassare -. Certo i rappresentanti di alcuni Paesi africani erano presenti al summit con tante imprese italiane pronte a raggiungere accordi. Molti altri Paesi erano assenti, tra cui il Sud Sudan per esempio. Forse non sono stati coinvolti sufficientemente”. “E l’imprenditoria africana? E chi ci lavora in Africa? Per esempio le organizzazioni non governative italiane da anni presenti nel continente? Quali sono i progetti che favoriscono una crescita sociale ed economica reale?”, si chiede. “Per questo – conclude -, oltre agli investimenti, c’è bisogno di un reale impegno delle istituzioni perché promuovano ponti di dialogo, formazione, e profonda conoscenza delle culture e dinamiche che ci sono in diversi Paesi. Il fenomeno migratorio non cambierà nei numeri, ma solo nella qualità nella misura in cui avremo creato ponti e non muri”.