“La Chiesa di Terra Santa, senza di voi, non solo non sarebbe completa, ma sarebbe anche più povera, perché le mancherebbe la grande forza di amore che attraverso il vostro servizio la nostra Chiesa manifesta alle popolazioni di questa Terra, benedetta e ferita, lacerata da tanto odio e divisioni, ma anche ricca di tanta generosità”. Così il patriarca latino di Gerusalemme, card. Pierbattista Pizzaballa, ha salutato tutti i consacrati e le consacrate riuniti ieri a Gerusalemme per la Festa della presentazione di Gesù al Tempio, Giornata della vita consacrata. “Stiamo vivendo uno dei momenti più difficili della storia recente – ha detto il cardinale -. Facciamo fatica a leggere, dentro le trame di questa storia, la presenza provvidente di un Dio misericordioso, che agisce, opera e cambia la vita del mondo. Sembriamo invece schiacciati dagli eventi di questo tempo presente così violento, che sembra non finire mai”. Il patriarca ha esortato, quindi, “a dare uno sguardo che non si fermi al dolore di questo momento, ma che vada oltre, e ci aiuti a rileggere il dono della vocazione religiosa come capacità di vivere la nostra storia personale e sociale dentro una storia più grande, scritta dal ‘dito’ di Dio”. Da qui l’invito a “vivere, – come Simeone nel brano evangelico -, il tempo dell’attesa del Signore, la consolazione di Israele. Simeone non si è arreso agli eventi tragici del suo tempo, che anche allora non mancavano. Non ha ceduto alla rassegnazione per la durezza di quel periodo, non ha smesso di credere che, nei modi che noi mai ci aspetteremmo, Dio fosse presente e agisse nella vita del mondo. Ha visto proprio dentro quel tempo duro, il compiersi delle promesse di salvezza”. Lo stile di vita del vecchio Simeone e della profetessa Anna, secondo Pizzaballa, mostra bene un aspetto della vita religiosa: “nello Spirito Santo, sapere vivere l’oggi come il luogo dentro il quale è già presente la consolazione. E saperla vedere nelle storie semplici della vita di ogni giorno”. “Come Simeone ed Anna, quindi, non ci spaventiamo per il male che imperversa in questo momento della storia, per il dolore tragico che sembra schiacciarci, per le tante forme di solitudini che accompagnano gli uomini e le donne di questo tempo. Il consacrato – ha sottolineato il patriarca – vede e mostra al mondo la luce che illumina il suo sguardo, che è lo sguardo di chi ha visto la consolazione e la redenzione, e così, giorno dopo giorno costruisce il Regno, con la sua opera di preghiera e di servizio. Non è uno sguardo avulso dalla realtà. Non fermiamoci dunque a vedere il dolore, la spada che ci trafigge e le tante contraddizioni che ci affliggono. Il vostro piegare le ginocchia in preghiera e adorazione, il vostro chinarvi sulle povertà di questi popoli, il vostro piegarvi per curare le ferite e il dolore dei poveri, nel sedervi accanto ai giovani che crescono e studiano con noi, non è altro che un modo per portare nella vita di quelle persone l’Eternità che vi abita, e quindi trasmettere uno sguardo che trascenda il dolore presente, che porti consolazione, e apra orizzonti di luce e di vita”. “Nel mare di odio che ci ha invaso – ha concluso – la vostra sia una testimonianza di amore che si compie, di cura paziente, di olio versato sulle tante ferite di questo tempo e di questi popoli. In altre parole, la vostra sia una testimonianza di consolazione e di salvezza. È il nostro modo, l’unico, che abbiamo per essere qui in Terra Santa costruttori di pace e di giustizia. Perché la giustizia cristiana non è mai disgiunta dall’amore”.