“La posizione dura dell’attuale governo israeliano sulla riforma giudiziaria e la sua intransigenza nella guerra con i palestinesi sono al centro della peggiore crisi che Israele abbia dovuto affrontare dalla sua fondazione”. Lo sostiene David Neuhaus, corrispondente da Israele per La Civiltà Cattolica e professore al Pontificio Istituto Biblico di Gerusalemme, nel quaderno n.4.169 della rivista dei gesuiti in uscita sabato. Neuhaus ricorda che il 26 aprile 2023 lo Stato di Israele ha celebrato i 75 anni dalla fondazione; un anniversario segnato da profonde divisioni interne suscitate dalla proposta di riforma della giustizia che ha scatenato massicce proteste nelle maggiori città. “All’interno della società israeliana tradizionale – osserva il gesuita – esiste una profonda scissione tra due diverse visioni dello Stato”. Tuttavia, prosegue, “dal 7 ottobre 2023 i brutali attacchi di Hamas nel sud di Israele e l’avvio della massiccia risposta militare hanno completamente distolto l’attenzione sia dalle divisioni interne sia dal sogno di una normalizzazione senza palestinesi”. Inoltre, “l’ideologia sionista che aveva fornito una cornice concettuale allo Stato sembra essersi esaurita”, lasciando i suoi sostenitori “divisi e polarizzati: sia questa ideologia, sia lo Stato che ha generato sembrano andare in pezzi”. “Israele – l’analisi di Neuhaus -, fortemente sostenuto dagli Stati uniti, sembrava sulla buona strada verso i cosiddetti ‘Accordi’ con i suoi vicini arabi, offrendo l’illusione di un Medio Oriente migliore” nel quale “i principati e i regni ricchi e autocratici si schiererebbero con Israele contro il nuovo ‘impero malvagio’ dell’Iran. Ma questo accordo dipendeva dall’oscuramento sia del grido palestinese di giustizia sia della lotta interna alla società israeliana rispetto alla propria natura”. Il 2023 ha invece sollevato “seri interrogativi” su questa visione di un nuovo Medio Oriente e sul ruolo che Israele potrà occuparvi. “Guardando verso le periferie della società israeliana, si potrebbero immaginare nuove prospettive, una nuova narrazione e l’emergere di alleanze inaspettate, meno vincolate alle categorie, ai discorsi e alle posizioni ideologiche del passato, che hanno portato alla crisi attuale. Israele – conclude il gesuita – ha bisogno di nuovi orizzonti e di una nuova visione, ed essi potrebbero provenire proprio da queste periferie”.