La vanagloria “va a braccetto con il demone dell’invidia, e insieme questi due vizi sono propri di una persona che ambisce ad essere il centro del mondo, libero di sfruttare tutto e tutti, oggetto di ogni lode e di ogni amore”. Lo spiega il Papa, nel discorso preparato per l’udienza di oggi in Aula Paolo VI e letto da mons. Filippo Ciampanelli della Segreteria di Stato. “La vanagloria è un’autostima gonfiata e senza fondamenti”, la fotografia di Francesco: “Il vanaglorioso possiede un io ingombrante: non ha empatia e non si accorge che nel mondo esistono altre persone oltre a lui. I suoi rapporti sono sempre strumentali, improntati alla sopraffazione dell’altro. La sua persona, le sue imprese, i suoi successi devono essere mostrati a tutti: è un perenne mendicante di attenzione. E se qualche volta le sue qualità non vengono riconosciute, allora si arrabbia ferocemente. Gli altri sono ingiusti, non capiscono, non sono all’altezza”. “Per guarire il vanaglorioso, i maestri spirituali non suggeriscono molti rimedi”, osserva il Papa: “Perché in fondo il male della vanità ha il suo rimedio in sé stesso: le lodi che il vanaglorioso sperava di mietere nel mondo presto gli si rivolteranno contro. E quante persone, illuse da una falsa immagine di sé, sono poi cadute in peccati di cui presto si sarebbero vergognate!”. Secondo Francesco, “l’istruzione più bella per vincere la vanagloria la possiamo trovare nella testimonianza di San Paolo”, che “fece sempre i conti con un difetto che non riuscì mai a vincere”: “Per ben tre volte chiese al Signore di liberarlo da quel tormento, ma alla fine Gesù gli rispose: ‘Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza’. Da quel giorno Paolo fu liberato. E la sua conclusione dovrebbe diventare anche la nostra: ‘Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo’”.