Migranti: un anno fa il naufragio di Cutro. Mons. Caiazzo (Matera e Tricarico), “il mare giudicherà questo tempo così disamorato della vita”

“Quale monito dalla tragedia di Steccato di Cutro? Ora si celebrerà l’anniversario. Si riaccenderanno i riflettori per qualche ora, sentiremo le solite dichiarazioni, rivedremo, con gli occhi del ricordo e di uno sgomento non ancora spento, i corpi galleggianti: i ‘più fortunati’ recuperati, riconosciuti e seppelliti; tantissimi altri rimarranno senza nome in una tomba comune. Il mare, che oggi accoglie e custodisce la loro memoria, domani giudicherà questo nostro tempo così grigio e disamorato della vita; questa umanità, non più popolata da amici, figli o fratelli che, riconoscendosi, si incontrano, ma da nemici che si scansano quando non si uccidono”. Lo ha scritto mons. Antonio Giuseppe Caiazzo, arcivescovo di Matera-Irsina e vescovo di Tricarico, in una riflessione diffusa in occasione del primo anniversario del naufragio a pochi metri dalla riva di Steccato di Cutro dove si infranse “il sogno di libertà di circa 100 persone, sotto le onde furiose del mare”.
Il presule ricorda di essere stato, circa due mesi dopo la strage, su quella spiaggia: il 19 aprile 2023 “c’è il riflesso dorato del sole che solca quelle calme e deliziose acque come grembo che ha accolto l’ultimo alito di vita sulla terra di bambini, giovani, adulti. Raccolgo due piccoli pezzi di legno di quella barca. Li porto gelosamente con me fino a Matera, dove, nella mia cappella li pongo per sempre a forma di Croce. Ogni giorno un ricordo nella preghiera per i tanti, troppi innocenti che nel nostro splendido mare trovano la morte”. “Sono almeno 40 anni – prosegue l’arcivescovo – che si assiste, a volte sgomenti, altre volte addolorati, altre volte, purtroppo, stanchi o meglio scocciati, nel vedere corpi senza vita recuperati in tutto il bacino del Mediterraneo. C’è la morte sulle rotte tracciate nel nostro mare: partono dalle coste africane o da quelle dei Balcani per approdare su quelle siciliane o calabresi, a volte pugliesi”. “Purtroppo, ormai, siamo abituati a conoscere o, meglio, vedere i migranti solo quando arrivano sulle nostre terre, ma difficilmente si parla delle motivazioni che li portano a scappare”, denuncia mons. Caiazzo, ricordandone, ad esempio, “una su tutte: i loro Paesi sono fortemente segnati dalle conseguenze lasciate dagli Stati postcoloniali. Quindi l’Occidente! Quindi anche l’Italia!”. “Oggi – continua – la malavita organizzata ha investito sui poveri disgraziati: sono una risorsa da sfruttare che rende bene con ‘carrette’ del mare, con il racket della prostituzione delle donne, del caporalato per gli uomini”. “Se nei secoli precedenti le motivazioni che spingevano la nostra gente a spostarsi, dall’Italia in altri Paesi, erano sintetizzati nel sogno americano o australiano, oggi – ricorda l’arcivescovo – si scappa da povertà, miseria, guerre, ingiustizie, persecuzioni. Sta emergendo sempre di più una nuova figura del migrante che è quella del rifugiato che scappa dai deboli regimi dittatoriali, da guerre civili che hanno procurato e continuano a procurare milioni di vittime senza che l’occidente sia adeguatamente informato e nel silenzio delle istituzioni europee e mondiali”.

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