Il 2024 è stato definito “l’anno elettorale”, per il fatto che in 76 Paesi i cittadini saranno chiamati al voto, coinvolgendo circa due miliardi di persone. Otto dei 10 Stati più popolosi del mondo – Stati uniti, India, Brasile, Pakistan, Russia, Indonesia, Messico e Bangladesh – terranno elezioni nell’anno in corso. Ad affrontare il tema è p. Giovanni Sale, scrittore de “La Civiltà Cattolica”, nel quaderno n. 4.168 della rivista in uscita domani. Secondo The Economist, sottolinea il gesuita, “in uno scenario di conflitto come quello attuale, dall’Ucraina al Medio Oriente, l’orientamento che prenderanno gli Stati uniti inciderà molto sul futuro degli equilibri geopolitici mondiali”, ma questo tema, precisa Sale, verrà a affrontato in un pezzo a parte. Nell’articolo in uscita domani, il gesuita sceglie di analizzare le elezioni nell’Asia meridionale, con un focus particolare sul voto a Taiwan dello scorso 13 gennaio, che nelle elezioni politiche ha visto vincente il Partito democratico progressista (Dpp), aggiudicatosi un sorprendente terzo mandato consecutivo; nelle presidenziali, la vittoria è andata a Lai Ching-te, descritto da Pechino, nei giorni precedenti, come un “pericoloso separatista”. Eppure, annota Sale, “sia la dirigenza politica cinese sia l’opinione pubblica al momento non esprimono alcun desiderio di inasprire il conflitto, ma di trovare un punto di accordo in vista del tanto desiderato ‘ricongiungimento'”. Toni pacati, almeno in apparenza, perché, come è noto, lo Stretto di Taiwan “è una polveriera” di cui Pechino “rivendica la sovranità” minacciando un attacco se l’isola dovesse procedere con una dichiarazione di indipendenza. In ogni caso, annota il gesuita, “tutti dovrebbero concentrarsi sul mantenimento della pace: a Pechino spetta il compito di interrompere le manovre militari intorno all’isola; a Lai e agli alti funzionari dell’isola quello di mantenere la prudenza nei discorsi pubblici e favorire i contatti diretti con i loro colleghi della Cina continentale”. Anche gli Usa “dovrebbero evitare di provocare inutilmente la Cina.
infine, conclude Sale, il fatto che il 2024 sia “l’anno elettorale” rappresenta di per sé “un fatto positivo: circa 2 miliardi di persone accederanno alle urne, e questo è un segno, anche se soltanto formale, che la maggior parte degli Stati ritiene il sistema di rappresentanza democratica, sebbene imperfetto, preferibile ad altre forme di governo”.