L’aiuto al suicidio costituisce un reato, ma l’azione penale del Pubblico ministero potrebbe non essere esercitata se si ravvisassero i requisiti dettati dalla Corte. “Ne consegue che nessuna normativa regionale può disciplinare tali requisiti, in quanto, valendo essi quali scriminanti di una norma penale, attengono alla competenza esclusiva della legge nazionale e del magistrato che la applica”, spiega in un’intervista al Sir Alberto Gambino, ordinario di Diritto privato presso l’Università Europea di Roma e prorettore vicario dell’Ateneo, nonché componente del Comitato nazionale di bioetica (Cnb), commentando la “scorciatoia” intrapresa dall’Emilia Romagna con la delibera regionale sul suicidio assistito .
Pertanto, prosegue il giurista, “anche i Comitati etici che valutano la presenza dei requisiti indicati dalla Corte nei casi di richieste di suicidio assistito devono corrispondere ad una omogeneità normativa nazionale, come del resto ha affermato il Comitato nazionale di bioetica nel parere reso e pubblicato in data 24 febbraio 2023. Se, invece, si prevedessero – come fa l’Emilia Romagna – Comitati locali, si configurerebbero inaccettabili diversificazioni nell’applicazione di scriminanti ad un reato, che – come ho detto – è invece competenza esclusiva della norma penale che vige sull’intero territorio dello Stato”.
Per Gambino, inoltre, l’emanazione di linee guida regionali, neppure votate in Consiglio, per disciplinare le procedure di suicidio assistito significa “sciogliere con un atto amministrativo alcuni nodi lasciati aperti dalla Corte e che la Corte stessa ha rinviato ad una legge nazionale, tra cui la relazione tra l’aiuto al suicidio e il necessario percorso di cure palliative, nonché la fase dell’esecuzione dell’assistenza al suicidio”. Le linee guida dell’Emilia Romagna, così come le proposte pendenti davanti a vari Consigli regionali, “prendono invece posizione e compiono scelte soggettive con la conseguenza che in alcune regioni potrà attivarsi la procedura dopo una mera proposta di palliazione, in altre potrà invece richiedersi che la palliazione sia effettiva, in altre ancora si riterrà sufficiente che sia il paziente ad escluderla sul nascere”. Insomma si rischia un esito interpretativo Regione per Regione. In merito all’esecuzione della procedura di assistenza al suicidio, “la Corte non affronta questo aspetto, limitandosi a dire che non c’è alcun obbligo per il personale sanitario e, dunque, per il Servizio sanitario, i cui prestatori di servizi sono appunto medici e infermieri. Anche qui, se ogni Regione facesse da sé – avverte infine il giurista -, significherebbe creare zone territoriali in cui si potrà essere aiutati a suicidarsi con principi, modalità e criteri di assistenza diversificati, cosa assolutamente contraria all’interesse nazionale e alla tutela della salute e della vita di ogni malato”.