Quaresima: mons. Vezzoli (Fidenza), “benedire e non maledire significa imparare a riconoscere le tracce della presenza di Dio provvidente nella nostra storia”

“Benedire e non maledire”. Da qui parte il vescovo di Fidenza, mons. Ovidio Vezzoli, nel suo messaggio per Quaresima, ricordando che “questo è il principio evangelico che soggiace” al documento del Dicastero della Dottrina della Fede “Fiducia supplicans”. Riassumendo alcuni tratti fondamentali che la benedizione, nella tradizione giudaica e cristiana, rivela quando viene espressa davanti a Dio, il presule precisa che “la benedizione è dichiarazione dell’orante a rinunciare a qualsiasi diritto di proprietà sulle cose e sulle persone. È il riconoscimento della gratuità, dell’impossibilità a manipolare la creazione; è la rinuncia alla propria volontà di potenza instaurando con la realtà una relazione che sola permette di scorgerne la profonda identità di dono consegnato con annessa la responsabilità di custodire il dono stesso”.
In secondo luogo, “la benedizione rivela a chi appartiene la vita. In questa prospettiva la benedizione lascia trasparire la dimensione di una confessione di fede mediante la quale si dichiara la signoria di Dio sul cosmo e sulla storia”. “Confessare che la terra è di Dio significa riconoscere che tutti i suoi beni raggiungono il vertice di significato in un orizzonte di gratuità alieno da ogni forma di tentazione dispotica o di gestione egoistica”, aggiunge.
In terzo luogo, “la benedizione esplicita la destinazione universale della creazione. Il riconoscere che tutto è di Dio contiene in sé l’intrinseca destinazione della realtà in vista della condivisione. Quando tale processo viene distorto, falsato o misconosciuto, allora nasce l’azione violenta del possedimento che porta irrimediabilmente alla sua perdita. L’usufruire della realtà creata con un atteggiamento di bramosia non permette alla realtà stessa di esprimere l’intrinseca bellezza e bontà originaria che porta in sé”.
Infine, “la benedizione dichiara che Dio ha affidato all’uomo ‘il giardino di Eden perché lo coltivasse e custodisse’ (Gen 2,15); ciò è avvenuto perché è insito nel suo progetto di un amore eterno e fedele. L’atto del benedire davanti a Dio evidenzia senza equivoci la riconsegna libera di un dono gratuitamente ricevuto. In questa dimensione il credente esercita il suo sacerdozio celebrando la liturgia della vita”.
“Benedire e non maledire significa, pertanto, imparare a riconoscere le tracce della presenza di Dio provvidente nella nostra storia e sui volti delle persone che incontriamo; esse sono il riflesso del volto del Signore e manifestazione della bontà custodita nel cuore di tutti quelli che lo cercano”, conclude mons. Vezzoli.

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