“Maria ci insegna prima di tutto a vivere nella storia, a non essere solo capaci di sentenziare dall’esterno sulle situazioni che viviamo a livello ecclesiale, sociale, relazionale, ma ad entrarci dentro con la nostra intelligenza e la nostra fede, per potervi scorgere un frammento di spazio dove sta germogliando un seme di vangelo vivo”. Lo ha detto questa mattina mons. Giovanni Checchinato, arcivescovo di Cosenza-Bisignano, nell’omelia pronunciata in occasione della messa nel giorno della Madonna del Pilerio, patrona dell’arcidiocesi e della città.
“Le rappresentazioni oggi dominanti tendono a descrivere la nostra terra cosentina, e tutta la Calabria, come una realtà lontana e altra, incomprensibile, sostanzialmente persa, addirittura estrema”, ha constatato l’arcivescovo. “Davanti a queste rappresentazioni c’è la tentazione forte dello scoraggiamento, di un progressivo ritrarci dalle nostre responsabilità di cristiani e di cittadini”, ma Maria “ci insegna a prendere sul serio la nostra vocazione di artigiani della storia presente e futura, partecipando con responsabilità alle sorti della nostra terra e della nostra Chiesa”.
L’arcivescovo ha sottolineato che “le povertà del territorio diocesano sono quelle che segnano tutto il contesto regionale, la questione demografica nelle aree interne” ma ormai “sempre più evidente anche nelle aree urbane, la fragilità del tessuto economico e dalla drammatica carenza di lavoro”. “Analogamente – ha narrato – il divario civile rispetto ad altre regioni italiane, rappresentato dalla debolezza della scuola, dei servizi sanitari e socio-assistenziali, dei servizi territoriali”. Per il presule bruzio, “la debolezza dei servizi alla persona fa emergere responsabilità a tutti i livelli, ma è anche conseguenza di una scarsa consapevolezza dei problemi del territorio e di una scarsa attitudine partecipativa”. Da qui l’esempio di Maria: “a Cana si è fatta presente e partecipe in maniera responsabile non solo perché ha saputo leggere una situazione critica e l’ha saputa indirizzare al bene, ma anche perché con le sue parole e i suoi gesti ha aiutato i presenti a quella festa a non perdere la speranza”. Il vescovo ha evidenziato che “davanti alle situazioni problematiche è facile fare i profeti di sventura”; se “leggiamo invece, come Maria il futuro come possibilità scopriamo che in questa prospettiva prende forma la speranza” che “non nasce dai numeri grandi, dagli eventi che cercano audience, ma dalla vita, le relazioni, le aspirazioni”. Per questo mons. Checchinato valuta “con speranza i dati che ci dicono che soprattutto nelle aree interne, nei paesini più lontani e isolati della nostra diocesi in questa terra così problematica si continua ad abitare, a fare progetti, a manifestare bisogni, a sognare” . “Come credenti e come cittadini – ha proseguito – siamo chiamati a superare la tentazione della sfiducia, dell’avverbio ‘ormai’, che sa di disfatta, di capitolazione e aprirci alla speranza e testimoniare che anche nelle aree della rarefazione si possono sperimentare soluzioni originali ai bisogni ecclesiali, sanitari, sociali, scolastici, di mobilità” e che “nei contesti demograficamente desolati si riescono a praticare soluzioni innovative sul terreno dell’accoglienza dei migranti, mediante progetti che vengono considerati come modelli di presa in carico comunitaria anche al di fuori dei confini della nostra regione e del nostro paese”. Difatti, “accogliere e annunciare l’evangelo per noi oggi significa sposare questa terra, sceglierla ogni giorno, e amarla facendosi carico delle sue luci e delle sue ombre, nella consapevolezza che, come Chiesa, abbiamo a che fare sia con le une che con le altre”. Prima della celebrazione, mons. Checchinato ha incontrato una delegazione di agricoltori cosentini in protesta. “Ho promesso loro che avrei detto qualche parola durante questa omelia. Possano essere ascoltati a tutti i livelli, a partire dal nostro, di fratelli e sorelle nella fede”.