Divenire “testimoni di bellezza, gioia, giustizia e pace, perché se la promessa di Dio è che la speranza non delude, come ci ricorda la lettera d’indizione del Giubileo, essa si fa presente e operante nella storia degli uomini con il nostro coraggio e il nostro impegno ad essere operatori di pace e costruttori di relazioni vere”. Lo ha detto mons. Serafino Parisi, vescovo di Lamezia Terme, nell’omelia del giorno di Natale in cattedrale, aggiungendo che la “forza sconvolgente del Vangelo si manifesta con due immagini e due parole di debolezza. La prima è il Bambino che nasce a Betlemme, che entra nella storia per immettere la speranza nella vita dell’umanità. La seconda è la Croce, che immette nel dolore della storia dell’umanità la possibilità di vedere la luce dell’amore di Dio, la testimonianza dell’amore di Dio che si fa dono per ciascuno di noi”. “Il mio augurio alle nostre comunità, alla Chiesa di Lamezia tutta è di accogliere – ha detto mons. Parisi – questa luce che, come ci ricorda il Prologo di Giovanni, al suo apparire fa scomparire le tenebre. La luce è il Bambino che nasce e di questa luce noi dobbiamo essere testimoni”. La riflessione del vescovo lametino è partita dalla realtà di questo tempo, dalla “sciagura delle guerre in varie parti del mondo, da quelle che interessano quotidianamente i mezzi di comunicazione a quelle ignorate” alla tragedia che ha toccato la comunità di S. Pietro a Maida con l’incidente in cui hanno perso la vita due giovanissime ragazze, Maria e Anna. “Dentro queste tragedie – ha affermato mons. Parisi nell’omelia – per noi uomini così difficili da interpretare, rischia di vincere la disperazione, l’ansia, l’angoscia. Quasi a dire: non c’è più niente da fare. A contribuire a rendere ancora più tragica la storia dell’umanità, sono anche le nostre ‘piccole’ guerre: magari non lanciamo missili, ma di rancore ne coviamo e parecchio verso i nostri fratelli e verso chi c’è più prossimo. Forse un po’ di odio lo alimentiamo anche noi e anche le nostre piccole guerre contribuiscono ad ingigantire l’immagine negativa del mondo”. “E allora cosa fare?”, si chiede il presule: “La condizione che noi stiamo vivendo, che questa notte il profeta Isaia ci ha descritto come avvolta da una grande oscurità, è quella che Dio ha incontrato dentro la storia. Ed è proprio questa condizione che il Signore ha voluto definitivamente liberare da ogni forma di schiavitù, rassegnazione, terrore. Per questo nasce il Figlio di Dio dentro la storia dell’umanità”. “Noi non celebriamo il compleanno di Gesù, Gesù non spegne le candeline a Natale – ha proseguito il vescovo di Lamezia –, noi celebriamo l’opera di Dio che si incarna e che mette dentro la storia dell’umanità la scintilla dell’eternità, il nostro tempo viene abitato dall’eternità di Dio. Questa nostra carne, fragile, riceve dal Signore quella spinta di immortalità che deve essere operativa tra noi uomini. Celebrare il Natale significa riconoscere che il Signore viene nella nostra storia per dire all’uomo: cerca di essere umano. Dio ci chiede di umanizzare i nostri rapporti, di comportarci da persone umane. Solo così l’umanità, che il Figlio di Dio ha preso su di sé, riceve e scopre la bellezza della creazione originaria”.