“Il mondo è in fiamme, la follia della guerra copre nell’ombra di morte ogni speranza”. Lo ha detto il Papa, nella “lectio magistralis” alla Pontificia Università gregoriana, in cui ha lanciato un preciso invito: “Disarmiamo le nostre parole: parole miti, per favore!”. Secondo Francesco, “abbiamo bisogno di recuperare la via di una teologia incarnata, che risusciti la speranza, di una filosofia che sappia animare il desiderio di toccare il lembo de mantello di Gesù, di affacciarsi al limite del mistero. Abbiamo bisogno di un’esegesi che apra lo sguardo del cuore, abbiamo bisogno di studiare le tradizioni orientali, capaci di suscitare lo scambio di doni tra le diverse tradizioni e di mostrare la possibilità di composizione delle differenze”. Il sapere universitario, in altre parole, non può nascere “da idee astratte, concepite solo a tavolino”, da dalla capacità di sentire “i travagli della storia concreta, la loro scaturigine dal contatto con la vita dei popoli, dall’ascolto delle domande nascoste e dal grido che si leva dalla sofferenza dei poveri”. “Bisogna toccarla questa carne, avere il coraggio di andare nel fango e di sporcarsi le mani”, l’invito del Papa, secondo il quale l’università “deve elaborare i saperi generati da Dio, abbandonando l’approccio del noi e gli altri”. “Abbiamo fatto parecchi errori, è tempo di riconoscere di essere umili, di aver bisogno degli altri”, ha ammesso Francesco: “È un mondo complesso e la ricerca chiede l’apporto di tutti. Nessuno può pretendere di stare da solo, nessun pensiero nasce da solo”.