“L’alluvione che travolse la nostra città di Firenze cinquantotto anni fa, e per le cui vittime celebriamo oggi questa Eucarestia, appartiene a quella categoria di eventi davanti ai quali improvvisamente sperimentiamo come la realtà ci superi da ogni parte. Anche le più recenti alluvioni, che nell’ultimo anno hanno colpito duramente molte zone del nostro paese e quella terribile di Valencia dei giorni scorsi, ci ricordano che, se da un lato è una responsabilità fondamentale incrementare la nostra capacità di prevenzione e previsione, allo stesso tempo tali calamità rimangono qualcosa di cui non possiamo ultimamente disporre: la realtà si rivela sempre più grande delle nostre forze o idee. Da qui il senso profondo dell’invito che Papa Francesco costantemente ci rivolge ad una cura e comprensione adeguate di questa nostra casa comune che è il Creato”. Lo ha affermato questa mattina l’arcivescovo di Firenze, mons. Gherardo Gambelli, nel corso della celebrazione eucaristica in memoria delle vittime dell’alluvione di Firenze (4 novembre 1966) nel 58° anniversario.
“Proprio la memoria dell’alluvione che nel 1966 colpì con particolare forza questo quartiere e questa basilica di Santa Croce, ci potrebbe far ritenere ingenue le parole appena proclamate nella lettura del Salmo: ‘Resto quieto e sereno: come un bimbo svezzato in braccio a sua madre, come un bimbo svezzato è in me l’anima mia’”, ha osservato nell’omelia il presule, aggiungendo che “il clima di guerra in cui è immerso il mondo, così come le quotidiane fatiche e incertezze che tante donne e uomini si trovano a fronteggiare, sembrano suggerirci che questa ‘serenità’ di cui parla il salmista sia, in realtà, un raro privilegio per pochi se non un vero e proprio miraggio. Tuttavia, proprio uno sguardo realista agli eventi drammatici che ci superano da ogni parte, rivela l’inconsistenza di quelle differenze e diffidenze su cui tanto convintamente riteniamo di poter costruire e edificare le nostre relazioni come la nostra convivenza sociale”. “Vi sono momenti, come fu quello dell’alluvione, in cui, spogliati di molto se non di tutto, torniamo a vivere l’esperienza comune di essere fondamentalmente bisognosi”, ha osservato mons. Gambelli, aggiungendo che “sperimentiamo un’inaspettata umiltà innanzi alla realtà, sorprendendoci bisognosi non semplicemente di ‘cose’ ma di un orizzonte di relazioni come di significato nel quale l’esistenza possa esser sperimentata come realmente vivibile e non dominata dalla sola incertezza”. “Proprio l’immagine del bimbo che riposa in braccio alla madre, così familiare a ciascuno di noi, rivela allora la sua autentica profondità”, ha rilevato l’arcivescovo: “Il bambino è sereno perché vive nell’abbraccio della madre. È dal di dentro di quell’abbraccio che la realtà gli si dischiude positivamente come luogo di crescita e maturazione: laddove un neonato fosse privato delle cure della mamma ecco che la medesima realtà si rivelerebbe estranea e ostile. Possiamo dire che solo laddove l’uomo sperimenta nella sua esistenza una compagnia all’altezza della vita, con i suoi drammi e inquietudini, con i mali di cui l’uomo sempre nuovamente si dimostra capace, solo allora la realtà diventa uno spazio propriamente umano”.