“Sulla giustizia minorile stiamo tornando indietro! Una retromarcia decisa e spericolata, sia a livello giuridico sia culturale”. Lo scrive don Luigi Ciotti, fondatore di Libera e Gruppo Abele, nel suo editoriale nel dossier “Tutti dentro”, dati inediti, storie e infografiche sullo stato della giustizia minorile italiana, pubblicato nell’ultimo numero della rivista lavialibera. “Far funzionare la giustizia minorile dovrebbe significare fare in modo che gli sbagli dei ragazzi, dettati spesso da carenze educative gravi, non diventino una condanna per la vita – sottolinea don Ciotti -. È questo che sfugge a chi concepisce la giustizia come una clava, senza riguardo per la storia e le fragilità di ciascuno”. Per il presidente di Libera e del Gruppo Abele, “il decreto Caivano guarda alla criminalità minorile attraverso le lenti della repressione ma l’esperienza delle realtà impegnate nel sociale come Libera e Gruppo Abele mostra invece che le uniche lenti davvero capaci di restituirci il fenomeno sono quelle di natura educativa e sociale. Punire quasi mai funziona, educare molto spesso sì. E prevenire il disagio giovanile investendo nell’istruzione e nel benessere – materiale, fisico e morale – rimane la strada maestra”.
Dall’insediamento del governo, le presenze negli istituti penali per minorenni (ipm) sono cresciute di quasi il 50% e un netto aumento è coinciso con l’entrata in vigore del decreto Caivano, che facilita anche il trasferimento dei minori negli istituti per adulti. Del “modello italiano” a lungo elogiato dall’Europa, che puntava su percorsi individualizzati di integrazione ricorrendo alla carcerazione solo come extrema ratio, resta poco. “Alle carceri oggi non si chiede di reintegrarli, ma di neutralizzarli”, denuncia Susanna Marietti, coordinatrice nazionale di Antigone, che ha collaborato alla realizzaione del dossier. La direttrice de lavialibera Elena Ciccarello scrive nel suo editoriale: “Quando di fronte all’impoverimento e alla marginalizzazione si procede per le vie brevi, disinvestendo dai servizi e tagliando i fondi, il carcere diventa una ‘discarica sociale’: il luogo dove isolare tutto ciò che lo Stato non ha né tempo né voglia di vedere o affrontare. Lo era per gli adulti, adesso lo è anche per i ragazzi”.