Migranti: organizzazioni impegnate nell’assistenza sanitaria, “Protocollo Italia-Albania viola il codice di deontologia medica”

Il Protocollo Italia-Albania “viola il codice di deontologia medica e i diritti umani e mette a rischio la salute fisica e psicologica delle persone migranti”. È la denuncia di diverse realtà sanitarie che si occupano di soccorso civile nel Mediterraneo centrale e di supporto e diritto alla salute delle persone in movimento, che si appellano a operatori e professionisti della salute affinché “non si rendano complici del Protocollo e delle sue violazioni”. “Sappiamo – scrivono in una nota diffusa oggi – per testimonianza diretta e tangibile delle persone che soccorriamo e visitiamo a bordo delle nostre navi, che la maggior parte di queste ha subito violenze fisiche, abusi, torture, violenza sessuale e che la totalità di esse, per il contesto del paese di origine, per il viaggio attraverso il deserto, la permanenza e la detenzione in Libia o Tunisia, per il viaggio in mare e per tutto ciò che hanno vissuto come dirette vittime o come testimoni, è da considerarsi a rischio di conseguenza anche gravi di salute fisica e mentale, incluso il disturbo post-traumatico da stress”. Secondo le procedure previste dal protocollo, a bordo della nave militare Libra e a bordo delle motovedette italiane – scrivono le associazioni – “non sussistono le condizioni perché possa essere effettuata una valutazione adeguata dello stato di salute di una persona. Non è presente, infatti, un ambulatorio medico né stanze adibite a tale scopo che garantiscano una adeguata privacy e una opportuna percezione di luogo sicuro, come non sono presenti strumenti in grado di diagnosticare determinate condizioni cliniche e patologie, acute o croniche”. Infine, i luoghi di detenzione amministrativa rappresentano, secondo l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), “un fattore di rischio per la salute mentale e fisica, in particolare per la possibile diffusione di malattie infettive e per i bassi standard di presa in carico e cura anche delle malattie non trasmissibili”, evidenziano i firmatari della nota evidenziando che “in considerazione delle ragioni esposte per cui il sistema previsto dal Protocollo Italia-Albania è patogeno per le persone, delle criticità strutturali che rendono impossibile una valutazione adeguata delle vulnerabilità e, soprattutto, del fatto che le persone soccorse in mare debbano essere ritenute tutte vulnerabili per i motivi sopracitati, riteniamo inaccettabile la pratica di “selezione” medico-sanitaria come criterio per la deportazione in Albania. Inoltre, sottolineiamo l’ambiguità del ruolo svolto dalle istituzioni di garanzia coinvolte in questo sistema. Operatori e operatrici della salute non dovrebbero essere coinvolte in tale sistema discriminante e degradante per l’essere umano. La nostra professione deve essere esercitata nel rispetto del Codice deontologico e dei diritti umani”. Da qui la denuncia alle istituzioni italiane, a partire dal Ministero della Salute, che “hanno sostenuto e reso possibile la realizzazione e attuazione di questo Protocollo” e “critichiamo duramente Cisom, Usmaf, Oim, le realtà sanitarie che si stanno rendendo complici di questa prassi in totale violazione dei diritti umani e del Codice di deontologia medica. Chiediamo inoltre – conclude la nota – alla Federazione nazionale degli Ordini dei medici chirurghi e odontoiatri, alla Federazione nazionale degli Ordini delle professioni infermieristiche, agli Ordini degli psicologi, alle società scientifiche di ambito medico e a tutte le realtà medico-sanitarie interessate di prendere formalmente e pubblicamente le distanze da tali pratiche”.

© Riproduzione Riservata

Quotidiano

Quotidiano - Italiano

Chiesa