Don Giordano Caberletti “è stato una figura di grande valore non solo per la sua cultura, per gli incarichi ricoperti, per le pubblicazioni scientifiche ma soprattutto perché in tutto questo ha saputo rimanere umile e disponibile verso tutti. Ad esempio non ha mai disdegnato, quando rientrava in Polesine da Roma nel fine settimana, di andare a prestare il suo ministero in piccole comunità di campagna, contento di poter mettersi a servizio della sua chiesa e della sua gente. Egli ha onorato la nostra diocesi e la nostra terra polesana ricoprendo l’ufficio di uditore del Tribunale Apostolico della Rota Romana, il Tribunale del Papa, secondo polesano dopo il card. Pietro Silvestri che nel XIX secolo fu giudice rotale e decano della Rota Romana. Credo che lo stile con cui ha svolto questo compito prestigioso, costituisca un insegnamento prezioso per l’intera nostra comunità”. Lo ha affermato oggi il vescovo di Adria-Rovigo, mons. Pierantonio Pavanello, durante i funerali di mons. Caberletti che ha presieduto in duomo. Hanno concelebrato mons. Giampaolo Crepaldi (emerito Trieste), mons. Alejandro Arellano Cedillo (decano del Tribunale Apostolico della Rota Romana) e mons. Juan Ignacio Arrieta (segretario del Pontificio Consiglio per i Testi legislativi).
Nell’omelia, il vescovo ha sottolineato che “questi lunghi mesi, dal luglio del 2023 quando gli fu diagnosticata una forma di tumore al cervello molto aggressiva e che non lasciava scampo, sono stati per lui un tempo di silenzio: infatti, anche se fino agli ultimi giorni ha incontrato persone e si è intrattenuto con loro, non gli è più stato possibile quel servizio della Parola che, instancabile, aveva svolto con generosità e competenza per tutta la sua vita di prete, nella predicazione, nella catechesi, nell’accompagnamento spirituale, nell’insegnamento universitario e nella sua attività di giudice nei tribunali ecclesiastici”. “Quale contrasto tra quest’ultimo tratto e il resto della sua vita!”, ha osservato mons. Pavanello, precisando che “non è stato però un tempo inutile, perché ha consentito a questo nostro fratello di donarci la sua ultima e più preziosa lezione, che illumina e spiega anche le tante altre lezioni, prediche, riflessioni che abbiamo ricevuto da lui nelle fasi precedenti della sua vita”. “È stato un silenzio abitato da una fede forte e serena, che nutriva la speranza dell’incontro prossimo con il Signore”, ha aggiunto, rivelando che “visitandolo, non ho mai colto in lui la ribellione al male che lo attanagliava e gli toglieva ogni giorno di più le forze: si percepiva chiaramente in lui un atteggiamento di abbandono e di affidamento, che nasceva da una intera vita nutrita di fede e di preghiera”. “Fede e preghiera – ha rilevato – spiegano anche come mai don Giordano, che ricopriva un ufficio di grande prestigio e responsabilità a servizio della Sede Apostolica, aveva sempre conservato una grande umiltà, tanto che qui a Rovigo – è la mia impressione – pochi si rendevano conto dell’importanza delle mansioni che gli erano affidate a Roma. Proprio l’umiltà e la cordialità del tratto lo facevano benvolere da tutti”. Ricordando i tratti distintivi della gente del Polesine – “la laboriosità, la cordialità e la semplicità della sua gente, che costituiscono un patrimonio unico” –, il vescovo ha evidenziato che “don Giordano ha saputo farne tesoro e a metterlo a disposizione della Chiesa universale nel servizio alla Sede Apostolica”. “Impariamo da lui a lasciare da parte quel sottile senso di inferiorità che ci paralizza e ci porta al pessimismo”, l’esortazione di mons. Pavanello: “Impegniamoci a mettere a frutto gli insegnamenti che ci ha dato. La sua memoria sia di benedizione per la nostra Chiesa e per l’intera terra polesana”.