La comunità cristiana è importante che “sia presente in vari momenti dei percorsi giudiziari: entra in carcere come richiesto dall’Ordinamento penitenziario per il sostegno morale e per avviare percorsi di reinserimento; nel territorio per accogliere e accompagnare durante la misura alternativa, in particolare con l’accoglienza residenziale per chi non ha una casa e favorendo l’inserimento lavorativo; per creare una cultura della giustizia riparativa, al fine di tener presenti in ugual misura i bisogni delle vittime, degli autori e di tutti coloro che hanno subito un danno dal reato, sostenendo dialoghi e incontri che possono portare ad un senso di giustizia più pieno”. È l’invito contenuto in un documento di Caritas italiana diffuso oggi nel corso del convegno in corso a Roma sul tema “Giustizia e speranza: la comunità cristiana tra carcere e territorio”. Scopo dell’incontro è riflettere sulle attuali condizioni di vita all’interno delle strutture detentive e sul ruolo che la comunità cristiana può e deve avere nella costruzione di percorsi di riscatto e reintegrazione. L’incontro, alla vigilia del Giubileo, vuole valorizzare il ruolo profetico della Chiesa anche “trovando nuove forme per restituire dignità e speranza a chi ha sbagliato”. L’esperienza di operatori e volontari Caritas che operano in questo ambito porta a dire che è doveroso favorire percorsi in cui le persone sono “fuori dal carcere, il prima possibile e accompagnate”, sempre in un’ottica di legalità e di rispetto delle normative vigenti.
Nel documento si ricorda che l’opera di “visitare i carcerati” è “un’azione di misericordia impegnativa sia per la difficoltà di accesso al carcere che per il pregiudizio verso chi è detenuto”. La Chiesa italiana, in particolare attraverso le Caritas, è attiva in molte iniziative di sostegno per le persone detenute, sia dentro che fuori dal carcere.
Attualmente, le carceri italiane ospitano 61.862 persone recluse con un sovraffollamento significativo che incide sulle condizioni detentive. Tra queste, 45.404 persone stanno effettivamente scontando una condanna, ed un terzo di loro ha una pena inferiore ai due anni. Fuori dal carcere ci sono 140.718 persone in carico agli Uffici di Esecuzione penale esterna, di cui 91.369 che sta eseguendo un percorso giuridico fuori dal carcere . In sostanza, in Italia 2 persone su 3 stanno seguendo un percorso giuridico fuori dal carcere. “Vari studi mostrano che la recidiva è significativamente inferiore per chi sconta almeno una parte della pena fuori dal carcere e anche i costi relativi ai percorsi esterni al carcere sono nettamente inferiori rispetto alla detenzione in cella. L’esecuzione della pena fuori dal carcere è vantaggiosa e consente alle persone condannate maggiori possibilità di recupero”, rileva Caritas italiana.
“È fuori dal carcere che avviene l’incontro con la comunità che esprime il bisogno di sicurezza e si aspetta azioni di responsabilità, ma che sa anche aprire le braccia per accogliere e sostenere – si legge nel documento -. Uscire il prima possibile significa limitare gli effetti negativi della detenzione e dei luoghi di detenzione, che hanno ripercussioni sfavorevoli anche sui familiari, in particolare sui figli minorenni. Accompagnare il passaggio dalla reclusione alla libertà spesso fa la differenza perché questo momento è sempre molto delicato, ed è alto il rischio di compiere scelte sbagliate se ci si trova da soli. La presenza di figure che accompagnano è utile anche per facilitare l’incontro con la comunità, accogliendo le ritrosie, le paure e dubbi di chi si chiede se è davvero maturata la capacità di rispettare le regole ed essere responsabili”.