“Le nostre Missioni internazionali sono luoghi in cui il lavoro è difficile, duro, articolato, senza sosta. Esse sono simbolo di un servizio portato avanti con esemplare generosità, abnegazione e dedizione, competenza e amore. Credo sia doveroso ricordare, in questo momento, i militari italiani nei vari teatri operativi e pregare per loro. In particolare vorrei che pensassimo ai militari italiani in Libano, spesso costretti a vivere nei bunker, sfidando ogni rischio per svolgere fino in fondo la loro propria missione: proteggere la vita”. Lo ha detto mons. Santo Marcianò, arcivescovo ordinario militare per l’Italia, celebrando stamattina nella basilica di S. Maria in Ara Coeli, una messa per i caduti militari e civili nelle Missioni internazionali per la pace. Presenti il ministro della Difesa, Guido Crosetto, i vertici delle Forze armate e diversi rappresentanti istituzionali. Nell’omelia l’arcivescovo castrense ha ricordato che “le conseguenze di conflitti senza senso vengono, sempre più spesso, pagate da civili e da innocenti, compresi tanti, troppi bambini. In tale panorama, che tanto ci atterrisce, si comprende meglio il valore del servizio alla pace svolto dai caduti che oggi ricordiamo. Perché servire la pace con gli strumenti attualmente a disposizione, comprese le Missioni Internazionali, è oggi uno dei pochi segni di speranza possibili. Se i nostri fratelli sono morti, sono morti per la pace, per servire la pace. Niente è più prezioso della pace! E in quei luoghi di guerra, la pace, come la giustizia, si continua a servire”. Il servire, ha aggiunto, “porta a riaffermare non solo i diritti fondamentali che fanno parte della dignità delle persone, ma richiede lo sforzo – agli uomini e donne delle Istituzioni in particolare – di trasmettere il senso di appartenenza alla comunità civile e politica del nostro Paese e, attraverso essa, all’intera famiglia dei popoli. La guerra, come ogni sorta di violenza, intacca proprio questo collante umano e sociale: vuole provocare un effetto disgregante… vuole distruggere la pace distruggendo la fiducia, la fraternità, la carità”. Per questo, ha concluso, “l’opera dei nostri fratelli ha aiutato il nostro Paese e i Paesi a cui erano inviati a ritrovare giustizia, a restaurare la comunità. Un compito portato avanti fino alla fine, fino alla morte. I nostri caduti e feriti hanno lasciato l’eredità di una testimonianza preziosa, raccolta anzitutto dalle famiglie, che qui si ritrovano ogni anno, donandosi forza e cercando, nella fede e nell’amore reciproco, un senso a quel dolore che non può finire. Ma tale testimonianza è luminosa pure per altri, soprattutto per i giovani, i quali dovrebbero sempre poterla attingere da uomini e donne delle Istituzioni, come pure da uomini e donne di Chiesa”.