Pellegrinaggio a Lourdes: card. Cantoni (Como), “non lasciamoci mai imprigionare dalla paura di essere feriti”

(Foto diocesi di Como)

Sono 500 i fedeli che, con l’Unitalsi Lombardia, hanno raggiunto il santuario di Lourdes. Fra loro anche 250 pellegrini dalla diocesi di Como, con le due sottosezioni Unitalsi di Como e di Sondrio e una quarantina di studenti delle scuole superiori (20 del Collegio Gallio di Como e 20 dell’Istituto Saraceno-Romegialli di Morbegno). Il gruppo è guidato dal vescovo di Como, card. Oscar Cantoni, e dai vescovi di Lodi, mons. Maurizio Malvestiti, e di Pavia, mons. Corrado Sanguineti. Ieri, 8 ottobre, il pellegrinaggio è iniziato nel pomeriggio con la preghiera lungo l’Esplanade, fino alla Grotta dell’Apparizione, e poi la messa presieduta dal card. Cantoni nella chiesa di Santa Bernadette.
“Sono tante – ha osservato, ieri, il card. Cantoni, nell’omelia della messa di apertura del pellegrinaggio – le malattie che attraversano la nostra persona e qui a Lourdes non abbiamo paura nell’ammetterlo: quelle fisiche, innanzitutto, che generano sofferenza e paura, ma anche quelle spirituali, che ci ostacolano nel nostro cammino quotidiano e soprattutto ci impediscono di sentirci figli liberi e lieti, in piena confidenza di figli, come Dio ci vuole. Quanta tristezza, solitudine e vuoto, quanta incapacità di vivere belle e intense relazioni con gli altri, a volte anche se vicini, tuttavia da noi considerati distanti e incapaci di dialogo fraterno”.
A Lourdes “Maria ci chiama per nome, come ha riconosciuto i singoli undici discepoli, riuniti al piano superiore, nella sala del cenacolo di Gerusalemme e ci accoglie così come siamo, per trasformarci dal di dentro, con la grazia dello Spirito Santo, per aprirci a nuova speranza, per dilatare i confini del nostro cuore, che ci impediscono di amare come vorremmo”. A Lourdes, inoltre, “siamo così facilitati nel togliere ciascuno le nostre maschere, con cui spesso ci difendiamo, per presentarci diversi, mentre qui accettiamo di essere riconosciuti umilmente nella nostra vera immagine per quello che realmente siamo, deboli e fragili, ma questo non impedisce a Dio di amarci teneramente e di accoglierci nella nostra povertà”.
Il porporato ha evidenziato: “Per diventare santi non abbiamo bisogno di essere sollevati dalla nostra umanità”. Per grazia, “Gesù opera per noi il miracolo. Ci dona di essere rigenerati dalla forza nuova e operante dello Spirito Santo, che ci rimette in cammino, ci fa passare dall’essere ripiegati su noi stessi e ci rende tessitori di comunione, servitori gli uni degli altri, capaci di rallegrarci dei nostri doni, ma anche di quelli degli altri”.
Di qui l’invito a lodare “il Signore che ci offre una occasione in più per ripartire. Con una avvertenza, però: se avremo la forza di amare di nuovo, non temiamo di essere feriti. Perché, se rinunciamo ad amare siamo destinati alla morte. Non lasciamoci mai imprigionare dalla paura di essere feriti”. “L’acqua e il sangue che Gesù crocifisso emana dalle sue ferite, simbolo dei sacramenti della Chiesa, sono la nostra salvezza, la forza che ci permette di continuare a vivere e di sperare, è il segno efficace dell’amore incondizionato di Dio che ci precede e ci avvolge nonostante le miserie che possono opprimere la nostra vita”, ha concluso il cardinale.

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