“Non è bastato l’oro olimpico a Parigi dalle pallavoliste dell’Italvolley per unire il Paese dopo l’eliminazione dagli europei della nazionale del calcio milionario. Il volto di Paola Egonu e Myriam Sylla invece d’essere l’orgoglio di un Paese multietnico è diventato il pretesto per dividersi sul tema della cittadinanza. Eppure, nell’anno scolastico 2022/23 nelle nostre scuole erano registrati 914.860 studenti e studentesse con cittadinanza non italiana, l’11,2% del totale degli alunni in Italia. Gli alunni d’origine straniera sono presenti nel 74,5% delle scuole italiane. Per quale motivo, allora, ci sono così tanti giovani italiani ‘di fatto’ e non ‘di diritto’?”. Lo scrive padre Francesco Occhetta sul numero di ottobre di Vita pastorale. “Il tema è conteso sul piano politico e non su quello culturale. In Italia, infatti, la legge sulla cittadinanza è ormai vecchia (legge 91 del 1992), si basa sullo ius sanguinis che la assegna per nascita a chi è figlio di uno o entrambi i genitori cittadini italiani – prosegue -. L’ordinamento riconosce anche il criterio alternativo dello ius soli, limitandolo però ai figli di genitori ignoti o apolidi, ai figli di genitori il cui Stato nega la cittadinanza per i figli nati all’estero, ai nascituri abbandonati nel territorio italiano. Ma sono tutte eccezioni a una regola generale e desueta. Inoltre, i minorenni d’origine straniera nati in Italia acquisiscono la cittadinanza solo se hanno risieduto legalmente e senza interruzioni fino al raggiungimento della maggiore età; per ottenerla però occorre fare una richiesta entro un anno dal compimento dei 18 anni. Invece per chi è arrivato in Italia da piccolo vige il principio della naturalizzazione: da maggiorenne il cittadino straniero può chiedere la cittadinanza se ha raggiunto i dieci anni di residenza regolare ininterrotta e può dimostrare un certo livello di reddito e di inserimento sociale”. Questi lunghi iter impediscono un’integrazione effettiva e affettiva dei bambini, che sono discriminati nelle loro attività extra scolastiche come la partecipazione a gite scolastiche e ad attività sportive.
Per Occhetta è quindi necessario “riportare il dibattito sui temi dell’accoglienza, dell’educazione e dell’identità misura il grado di civiltà del Paese. Una riforma della cittadinanza stempererebbe le tensioni dovute alla frammentazione della società e all’omologazione del diverso per trasformarle in incontro, accoglienza e partecipazione”.