Nel 2015 il Parlamento italiano proclamò la Giornata nazionale della memoria delle vittime dell’emigrazione nella data del 3 ottobre e in ricordo della tragedia del mare del 3 ottobre 2013 quando persero la vita 366 migranti al largo di Lampedusa. Quella proclamazione, “certo, non ha fatto finire il numero delle vittime. Infatti, si muore ancora lungo le rotte dell’emigrazione, si muore nei deserti, si muore in mare”. Lo ha detto ieri sera, nella Basilica di Santa Maria in Trastevere, Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio, durante una veglia di preghiera. Tra gennaio e settembre 2024 si contano più di 1500 morti e dispersi nel Mediterraneo. E dal 1990 hanno perso la vita più di 66mila persone, per raggiungere l’Europa, ha detto Riccardi: il Mediterraneo, come dice Papa Francesco, è “diventato un cimitero”. “Ma i caduti, lo sappiamo, sono molti di più, e restano in tanti luoghi, senza sepoltura e senza memoria. Perduti, sulla terra o in mare. A loro, a chi è stato recuperato senza vita, questa sera noi dedichiamo il ricordo e la preghiera. Perché – dobbiamo dirlo – la coscienza, lo sguardo di molti sono anestetizzati. Cioè, molti in Europa non si accorgono che siamo vicini a Lazzaro, al povero Lazzaro di cui parla il Vangelo, in questo caso il migrante, che giace o muore alla porta, che desidera sfamarsi di quello che cade dalla confortevole mensa a cui si mangia”.
Oggi “c’è ancora un abisso tra il nostro mondo e chi spera in una vita migliore. C’è ancora un abisso! Nuove rotte si sono aperte, come le Canarie, dove sono già morte migliaia di persone, mentre le strade dei Balcani sono popolate dai migranti. Ricordare i Lazzari perduti in mare, nei deserti, negli inverni, nelle giornate infuocate, respinti, affamati, braccati, vuol dire affermare che non siamo gente dimentica o anestetizzata. Noi siamo e vogliamo essere come Abramo, che aprì la sua tenda all’ospitalità”. Riccardi spiega che che il problema delle migrazioni è di “complessa soluzione e va affrontato in tanti modi diversi. I corridoi umanitari sono uno di questi modi. Ma soprattutto, prima di tutto, non bisogna aver paura. Non bisogna aver paura, vivendo la vita come un banchetto e non facendo partecipare gli altri al banchetto della vita. Non bisogna avere paura degli altri, non bisogna avere paura del futuro. L’emigrazione è un segno del nostro tempo, e i segni dei tempi sono segni di Dio. Noi non siamo nella stagione della paura: noi abbiamo motivi, risorse per sperare; noi abbiamo motivi e risorse per capire chi spera; noi abbiamo motivi e risorse per capire chi sogna e, soprattutto, per non disprezzare i disperati, che è un grave peccato”.