“I martiri sono i più perfetti imitatori di nostro Signore Gesù Cristo e sono perciò stesso il modello più alto di vita cristiana pienamente realizzata. Martire è una parola greca e significa testimone”. Lo ha ricordato il Custode di Terra Santa, padre Francesco Patton, celebrando ieri sera a Gerusalemme, la messa di ringraziamento per la canonizzazione, il 20 ottobre a San Pietro, degli otto frati minori e dei tre fratelli maroniti che subirono il martirio a Bab Touma, in Damasco, tra il 9 e il 10 luglio del 1860. Undici martiri, definiti nell’omelia, “rappresentanti delle decine di migliaia di cristiani che nello stesso anno subirono il martirio in Libano e in Siria, e preferirono morire piuttosto che rinnegare Gesù Cristo”. “È importante – ha aggiunto – che sappiamo ringraziare per il dono che ci è stato fatto” perché “ci dimostrano che è possibile vivere fino in fondo un pieno e fiducioso abbandono in Dio, anche in mezzo a situazioni difficili, di ingiusta persecuzione e di sofferenza innocente. I martiri ci dicono che vivere e amare con questa radicalità è possibile, non è idealismo, non è utopia. Anzi, amare fino a dare la vita è il modo più autentico di essere cristiani”. Occorre ringraziare per questo dono, ha rimarcato padre Patton, “evitando ogni forma di trionfalismo istituzionale che striderebbe con la drammaticità del martirio. Ma c’è qualcosa che dobbiamo evitare anche a livello personale, ed è il vantarsi del martirio degli altri”. Il Custode ha invitato a seguire l’esempio degli 11 martiri ricordando che “noi viviamo in un contesto molto simile a quello in cui anch’essi sono vissuti. Di fronte alla guerra, di fronte alle pressioni sociali che subiamo, di fronte all’incertezza del domani potremmo essere tentati di lasciare la missione, o di lasciare questa Terra in cui il Signore ci ha chiamato a vivere la nostra vocazione e missione, una terra che sembra non conoscere pace e sicurezza, una terra nella quale da secoli la nostra stessa testimonianza sembra spesso cadere nel vuoto e non trovare accoglienza. Forse – ha spiegato – non saremo chiamati a testimoniare fino al punto di essere uccisi, ma saremo certamente chiamati a testimoniare dando la vita e fino al termine della nostra vita. Saremo chiamati a lasciar perdere la preoccupazione per noi stessi, per testimoniare invece la nostra fedeltà e il nostro amore per Gesù Cristo e per il suo Vangelo ma anche il nostro amore gratuito per la gente in mezzo alla quale ci troviamo a vivere. Non esiste solo il martirio del sangue, esiste anche il martirio della vita quotidiana, che si realizza nel farsi piccoli e mettersi a servizio di tutti per amore di Dio. È questo che san Francesco ci chiede come primo modo di evangelizzare”.