“L’amore ha bisogno della purificazione delle lacrime che alla fine ci lasciano più assetati di Dio e meno ossessionati da noi stessi”. Lo scrive il Papa, che nella sua quarta enciclica, “Dilexit nos”, analizzando il culto al Sacro Cuore di Gesù spiega come “quanto più profondo diventa il desiderio di consolare il Signore, tanto più si approfondisce la compunzione del cuore credente”, che “non è un senso di colpa che ci butta a terra, non è uno scrupolo che paralizza, ma è un pungolo benefico che brucia dentro e guarisce, perché il cuore, quando vede il proprio male e si riconosce peccatore, si apre, accoglie l’azione dello Spirito Santo, acqua viva che lo scuote e fa scorrere le lacrime sul suo volto. Non si tratta di commiserarsi, come spesso siamo tentati di fare. Avere lacrime di compunzione, invece, significa pentirsi seriamente di aver rattristato Dio con il peccato; significa riconoscere che siamo sempre in debito e mai in credito. Come una goccia scava una pietra, così le lacrime scavano lentamente i cuori induriti. In questo modo assistiamo al miracolo della tristezza, della buona tristezza che porta alla dolcezza. La compunzione non è frutto del nostro lavoro, ma è una grazia e come tale va chiesta nella preghiera”. “Nessuno si faccia beffe delle espressioni di fervore credente del santo popolo fedele di Dio, che nella sua pietà popolare cerca di consolare Cristo”, il monito di Francesco, che invita ciascuno a chiedersi “se non ci sia più razionalità, più verità e più saggezza in certe manifestazioni di questo amore che cerca di consolare il Signore che non nei freddi, distanti, calcolati e minimi atti d’amore di cui siamo capaci noi che pretendiamo di possedere una fede più riflessiva, coltivata e matura”.