“Il Signore che chiama vince la sordità delle nostre orecchie e le durezze del nostro cuore se noi ci offriamo servi della sua Parola, e ci trasforma in annunciatori della sua Parola, per la nostra piena e totale vocazione”. Lo ha affermato ieri pomeriggio mons. Giovanni Checchinato, arcivescovo di Cosenza-Bisignano, nell’omelia pronunciata per la consacrazione presbiterale di don Francesco Elia, don Daniele Infusino e don Fausto Francesco Morrone. Cattedrale gremita per un momento di grazia, che ha portato nella chiesa madre cosentina i familiari, i parrocchiani e gli amici degli ordinati. Gioia grande per la comunità del seminario “Redemptoris Custos” della diocesi bruzia, dove si sono formati.
“Chiediamo al Signore – ha esortato il presule – di saper scorgere il segno della sua presenza nel cuore delle donne e degli uomini del nostro tempo, ed essere capaci di invitare al banchetto tutti”. Il presule bruzio ha evidenziato “che non c’è ambiente o tempo che non siano influenzati dal potere e assumere la parola di Gesù può diventare il paradigma delle scelte che facciamo, sia singolarmente, sia collettiva ente, quindi anche come Chiesa”.
“Chiediamo al Signore – ha esortato il presule – di saper scorgere il segno della sua presenza nel cuore delle donne e degli uomini del nostro tempo, ed essere capaci di invitare al banchetto tutti”. Il presule bruzio ha evidenziato “che non c’è ambiente o tempo che non siano influenzati dal potere e assumere la parola di Gesù può diventare il paradigma delle scelte che facciamo, sia singolarmente, sia collettiva ente, quindi anche come Chiesa”.
Per chi segue il Signore, però – alla luce della pericope evangelica marciana – “non è così”. Un indicativo che traccia la strada per don Elia, don Infusino e don Morrone, che intraprendono il ministero sacerdotale. “L’invito ad assumere il servizio da ultimi rischia di diventare un modo di dire, che abbiamo bisogno spesso di correggere con la nostra presunta sapienza umana. Il ‘tra voi non è così’ si mette come cifra delle nostre relazioni”, perché “è libertà”, che non ci chiede di “custodire il territorio”, “di avere bisogno di potere”, ma “ci rende capaci di parresia, il diritto – dovere di dire la verità senza calcolo né interessi, costi quel che costi”.