Paesi Bassi: Amnesty International, la videosorveglianza della polizia ha un effetto “raggelante” sulle proteste

Secondo un nuovo rapporto di Amnesty International sui Paesi Bassi, il massiccio uso della tecnologia di sorveglianza digitale da parte delle forze di polizia e la mancanza di trasparenza su dove siano collocate le telecamere e su come vengano trattate le informazioni raccolte stanno avendo un effetto “raggelante e discriminatorio” sulle proteste. Il rapporto rivela come le forze di polizia dei Paesi Bassi stiano usando una serie di mezzi digitali per monitorare chi manifesta pacificamente, dai droni alle automobili munite di videocamere fino alle bodycam. “Quello di protestare pacificamente è un diritto, non un privilegio. Ma nei Paesi Bassi un approccio sempre più basato sull’analisi del rischio collegato alle manifestazioni e una crescente cultura del controllo stanno mettendo in pericolo tale diritto”, ha dichiarato Dagmar Oudshoorn, direttrice di Amnesty International Paesi Bassi. Il rapporto di Amnesty International raccoglie le testimonianze di manifestanti di molti movimenti, a partire da quelli contro le misure sul Covid-19, a quelli per la giustizia climatica e pro-Palestina. Il rapporto analizza 24 proteste svoltesi tra il 2022 e il 2024 e contiene interviste a manifestanti e funzionari di polizia e un’analisi delle leggi e dei regolamenti in materia di proteste. Un elemento emerso costantemente è la paura delle persone manifestanti che le loro identità possano finire negli archivi delle forze di polizia, con conseguenti ripercussioni negative. La ricerca di Amnesty International mostra che le forze di polizia evitano regolarmente di spiegare agli organizzatori, ai manifestanti e al pubblico in generale perché le videocamere siano in funzione. Prassi poco chiare non fanno capire bene quali risorse siano messe in campo e cosa ne sarà delle immagini dei manifestanti. “Senza adeguate garanzie in essere – scrive Amnesty – questo genere di sorveglianza è incline a essere massicciamente usato in modo improprio”.
Emerge anche che alcuni gruppi sono più sorvegliati di altri e temono di subire discriminazione e azioni illegali delle forze di polizia. Hanno paura più di altri del modo in cui i loro dati verranno usati. Questo è particolarmente vero per quel che riguarda le persone migranti, i cui volti sono inseriti in un archivio di riconoscimenti facciali quando fanno domanda per un permesso di soggiorno. Le forze di polizia possono usare la tecnologia per il riconoscimento facciale a scopo d’identificazione. “È inaccettabile che immagini vengano conservate in banche dati della polizia senza chiarire cosa ne sarà fatto. Questo comportamento può risultare abusivo o suscitare paura che lo sia, con gravi conseguenze sulle vite delle persone”, ha commentato Oudshoorn. Il Rapporto fa parte della campagna globale “Proteggo la protesta” di Amnesty International, che intende contrastare gli attacchi alla protesta pacifica, lavorare in solidarietà con le persone colpite e sostenere i gruppi della società civile che chiedono cambiamenti nel campo dei diritti umani.

 

 

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