“Si sente spesso parlare degli sbarramenti all’acquisizione della cittadinanza determinati dalla burocrazia. Ma c’è una soglia di sbarramento invisibile, di cui si parla poco, che è quella delle narrazioni. È difficile sentirsi cittadine e cittadini in un contesto sociale che racconta i propri amici e fratelli come spacciatori, criminali, come persone che non devono far parte della società. La narrazione stigmatizza chi ha un background migratorio, sia che si tratti di migranti sia che si tratti di persone nate in Italia figlie di migranti”. Lo ha detto Stefania N’Kombo José Teresa, componente Area migrazioni e antirazzismo di Lunaria, intervenendo questa mattina alla presentazione del XXXIII Rapporto Immigrazione Caritas e Migrantes 2024 “Popoli in cammino” alla Pontificia Università Urbaniana. “A 8 anni – ha proseguito Stefania raccontando la sua testimonianza – era già in vigore la legge Bossi-Fini e si parlava di clandestinità. Non avevo coscienza di cosa significasse essere ‘clandestina’, ma sentivo di non essere pienamente parte della società, di poter essere oggetto di criminalizzazione. Dietro i dati e i numeri di questo rapporto, ci sono delle storie. Non tutte le storie di migranti sono segnate dall’attivismo e dalla consapevolezza. Tante volte è difficile fare rete, è difficile giungere ad essere coscienti dei diritti che si hanno e far sentire la propria voce”. “Difendiamo il diritto alla fantasia dei più giovani, difendiamo il loro diritto di potersi sentire rappresentanti senza stigma – ha rimarcato l’attivista –. Occorre un lavoro costante di comunicazione e informazione per costruire una comunità che non vogliamo sia identitaria, ma polifonica, policolore e contrassegnata da tanti, tanti punti di vista. Dalla dialettica si possono creare veri cambiamenti”.