Ogni giorno tra 7 e 21mila persone muoiono letteralmente di fame in Paesi lacerati da conflitti. Lo denuncia oggi Oxfam lanciando il nuovo rapporto “Food Wars: Conflict, Hunger, and Globalization, 2023” in occasione della Giornata mondiale dell’alimentazione. La quasi totalità dei 281,6 milioni di persone afflitte da malnutrizione acuta nel mondo, viene spiegato, vive in 54 Paesi attraversati da guerre. Guerre che sono inoltre una delle principali cause del livello record di sfollati nel mondo, a oggi oltre 117 milioni.
“In molti dei Paesi in conflitto, la fame viene sempre più spesso usata come arma di guerra – spiega Francesco Petrelli, portavoce e policy advisor per la sicurezza alimentare di Oxfam Italia –. C’è poi da ricordare che la distruzione sistematica di infrastrutture essenziali per la fornitura di energia e acqua potabile è contraria ad ogni norma del diritto internazionale e sta aumentando in modo esponenziale le sofferenze di milioni di persone”. “Nella Striscia di Gaza – aggiunge Paolo Pezzati, portavoce per le crisi umanitarie di Oxfam Italia – in questo momento quasi mezzo milione di persone sta morendo di fame. Una catastrofe umanitaria dovuta alle decisioni del governo israeliano, che dall’inizio dell’anno impedisce l’ingresso dell’83% degli aiuti alimentari necessari alla popolazione. Nel 2023 ne venivano bloccati il 34%, quindi siamo passati in media da due pasti al giorno prima dell’inizio del conflitto, a uno ogni due giorni”.
L’impatto della guerra sulla disponibilità di cibo – denuncia inoltre il report – sta provocando una catastrofe altrettanto grave in Sudan, dove in questo momento oltre 750mila persone stanno morendo letteralmente di fame. Eppure il Paese – come altri 34 sui 54 analizzati – è ricco di risorse naturali e materie prime, incentrando la propria economia sulla loro esportazione. Basti pensare che il 95% dei proventi delle esportazioni del Sudan proviene dall’oro e dal bestiame; l’87% di quelle del Sud Sudan dai prodotti petroliferi; quasi il 70% di quelle del Burundi dal caffè. In America centrale, invece, progetti sempre più estesi di estrazione mineraria hanno provocato conflitti violenti, costringendo intere comunità ad abbandonare le proprie case. “Non è certo una coincidenza – osserva Petrelli – che la combinazione letale di guerra, sfollamenti forzati e fame, spesso si verifichi in Paesi ricchi di risorse naturali. Lo sfruttamento sempre più esteso di materie prime porta ad una maggiore instabilità politica e alla guerra. In contesti dove troppo spesso gli investimenti privati su larga scala – sia esteri che nazionali – hanno come obiettivo il controllo di terra e risorse idriche a danno delle comunità locali”.