“Quanto è bella una comunità cristiana così varia e colorata, così vitale e fraterna”. Lo ha affermato il vescovo di Treviso, mons. Michele Tomasi, nella celebrazione che ha visto riunite, sabato scorso in cattedrale, molte persone di numerose lingue e provenienze geografiche, per la solennità dell’Epifania. Da molti anni la messa del 6 gennaio, a Treviso, è curata dall’Ufficio diocesano di Pastorale delle migrazioni e animata dalle diverse comunità cattoliche di lingua straniera presenti in diocesi. E proprio dal direttore dell’Ufficio, don Bruno Baratto, all’inizio della celebrazione è stato rivolto l’appello alla comunità della Chiesa di Treviso e alle comunità di migranti arrivati anni fa a “custodire, insieme, la dignità di chi arriva oggi da noi. E se le Istituzioni hanno la propria responsabilità da esercitare, anche noi siamo chiamati con forza a fare la nostra parte per far crescere relazioni capaci di valorizzare i doni di ciascuno, qualunque sia la sua cultura e appartenenza religiosa”.
Nell’omelia, mons. Tomasi ha invitato i presenti a guardarsi l’un l’altro: “Proviamo a vedere in questa nostra assemblea i figli che vengono da lontano. Gioia, non terrore e nemmeno tristezza. Doni, non privazione e povertà. Gesti di cura e di tenerezza e non indifferenza e disprezzo”. “Riusciamo a vedere questo? Riusciamo almeno a sperare di riuscire a vederlo?”, ha domandato il vescovo, sottolineando poi che “nel Signore noi siamo un corpo solo, chiamati ad un comune futuro di pace e di unità, siamo raggiunti dalla stessa promessa di pienezza di vita contenuta nel Vangelo”. “Se custodisco la mia relazione con Gesù – ha rilevato mons. Tomasi –, questa non potrà mai essere contro qualcuno dei fratelli e delle sorelle”. “Debbo infatti custodire la mia identità personale e culturale, perché questo – ha ammonito – è l’unico modo che ho per amare concretamente gli altri. Non posso amare in astratto, in modo neutro, omologato. Se però coltivo la mia identità per separarmi dagli altri e per escludere i fratelli e le sorelle differenti, mi stacco dalla fonte viva dell’amore, mi chiudo in me stesso, e mi sono perso, nel tempo e per l’eternità”.
Dal vescovo poi l’invito a seguire la Speranza come una stella, in questo nuovo anno. Speranza, non come facile ottimismo, ma “come fiammella di luce nelle tenebre, anche le più fitte. Speranza come incontro nella gioia, in un mondo così crudo che sembra soffocare ogni sogno”, ha ricordato il presule citando il poeta francese Peguy. Perché è la speranza che “ci permetterà di far entrare in dialogo i nostri mondi diversi ma vicini, che troppo spesso manteniamo separati e muti, o impegnati a gridare parole di sospetto o d’odio. La speranza ci tirerà fuori di casa per incontrarci, per nutrire insieme la nostra fede, per accendere la fiamma dell’amore reciproco, in gesti quotidiani ed ordinari di solidarietà e di fraternità”.
“La mia speranza – ha concluso mons. Tomasi, annunciando la sua prossima visita pastorale alle comunità dei fedeli migranti – è che si veda e si condivida la bellezza di questa nostra assemblea per tanti giorni, non solo oggi, e in tutte le manifestazioni della vita, nell’uguaglianza, nella giustizia, nella pace. I Magi provarono una gioia grande, noi non dovremmo sperare niente di meno”.