“Che le nostre autorità prendano coscienza, non facciamoci del male a vicenda, siamo fratelli, vediamo quante famiglie stanno soffrendo sulle strade, speriamo in una soluzione rapida”. Lo ha detto ieri, durante l’omelia della messa domenicale in cattedrale, il vescovo ausiliare di Cochabamba, mons. Juan Gómez, invitando al dialogo sociale tra autorità e sostenitori dell’ex presidente Evo Morales. Il dipartimento di Cochabamba è, infatti, l’epicentro delle manifestazioni, disordini e blocchi stradali che da una settimana coinvolgono la Bolivia. Di fatto, la terza città della Bolivia è paralizzata. “Siamo persone di fede, non dimentichiamo di pregare e dalla nostra fede chiediamo per tutti soluzioni pacifiche e favorevoli a tutti i conflitti sociali del Paese che oggi hanno circondato Cochabamba”, ha proseguito il vescovo.
Attualmente, si contano nel Paese oltre venti blocchi stradali; la scorsa settimana si sono registrate due morti (a La Paz e a Locotal, nel dipartimento di Cochabamba) e 32 agenti di polizia feriti, in varie località. A scendere in strada, sono i sostenitori dell’ex presidente Evo Morales, per protestare contro la decisione della Corte costituzionale di dichiarare illegittima la candidatura presidenziale di Morales (contraddicendo una sua precedente sentenza di qualche anno fa, quando aveva sostenuto che la rielezione senza tetto di mandati era un “diritto umano”), nell’ambito di uno scontro tutto interno al Mas, il partito socialista fondato da Morales e ora guidato dal presidente Luis Arce, un tempo delfino dello storico leader e ora diventato suo acerrimo nemico. La regione che risulta più coinvolta è, appunto, quella di Cochabamba, dove si trova il distretto “cocalero” del Chapare, il vero e proprio feudo di Morales.