“Il rapporto tra curanti e curati era già in crisi prima della pandemia, evidenziando un sistema di cura che non era, e non è, in grado di farsi carico in modo integrale, veramente olistico, dei bisogni di salute della persona”. Così don Massimo Angelelli, direttore dell’Ufficio nazionale per la pastorale della salute della Cei, intervenuto questa mattina alla presentazione a Palazzo Montecitorio del progetto Dignitas Curae, promosso dalla Fondazione Dignitas Curae Ets presieduta da Massimo Massetti, responsabile dell’Area cardiovascolare e cardiochirurgica del Policlinico Gemelli di Roma. Per il sacerdote, “appare però meno evidente ai più che la qualità della relazione sia la determinante fondamentale per invertire quella percezione, presente nella popolazione, di un sistema che ‘non ascolti’, quindi ‘non curi’”. Si tratta allora di mettere in discussione non tanto modelli organizzativi o gestionali, finanziamenti o investimenti, quanto piuttosto “modelli di cura”.
Per troppo tempo, ha osservato don Angelelli, “la rimozione della dimensione empatica nella formazione dei giovani sanitari ci ha illuso che il medico, ben distaccato dalla sofferenza del paziente, sarebbe stato più capace di razionalità scientifica. In realtà, oltre a non accogliere il malato e negandosi una piena relazione, il medico stesso ha smarrito il senso originale della sua scelta”. Papa Francesco ci ha ricordato recentemente che ‘prendersi cura del malato significa anzitutto prendersi cura delle sue relazioni, di tutte le sue relazioni’ e ancora ‘quanto significativo sia questo cambiamento per la pratica medica nel favorire una nuova armonia nel rapporto tra medico e paziente'”.
L’Italia, ha proseguito il direttore dell’Ufficio Cei, “ha un grande Servizio Sanitario Nazionale, che come ha ricordato il nostro Presidente della Repubblica ‘è un patrimonio prezioso da difendere e adeguare’ , ma soffre di un mancato riconoscimento del lavoro svolto. C’è una differenza tra ‘essere curati’ e ‘sentirsi curati’, e questa sta nella qualità della relazione di cura, che non può essere soltanto diagnosi, terapia, trattamenti (e in questo siamo molto bravi), ma anche e soprattutto apertura di uno spazio empatico in cui si realizzi l’incontro di due persone, curante e curato.
Il testo del Manifesto oggi presentato è necessario, ampio e condivisibile. Ringrazio vivamente la Fondazione Dignitas Curae, con il suo Presidente prof. Massetti, per aver aperto questo spazio di riflessione e confronto, auspicando che quanto prodotto finora possa essere di stimolo pe ciascuno a tornare a riflettere sugli stili di cura. L’Ufficio Nazionale per la pastorale della salute della Conferenza Episcopale Italiana se ne farà promotore. Ne gioveranno tutti, persone curanti e persone curate, perché in estrema sintesi, secondo la nostra visione, la medicina, la ricerca e tutta l’organizzazione sanitaria si risolve in ‘persone che curano persone’.