“Il campanile non chiama più, come accadeva fino a pochi anni fa. Invece di un popolo, intorno alla mensa eucaristica c’è un gregge disperso che frequenta sempre meno”: mons. Ivan Maffeis, arcivescovo di Perugia-Città della Pieve, sul numero di febbraio di “Vita pastorale”, richiama quanto scriveva, in autunno, il quotidiano Avvenire, in particolare segnalando che “i praticanti assidui tra gli adolescenti (14-17 anni) sono passati dal 37% del 2001 al 12% del 2022 e tra i 18 e i 19 anni sono scesi dal 23% all’8%”. “La decrescita – fa notare mons. Maffeis – è significativa e intacca, in maniera decisiva, anche l’universo femminile, modificando il tradizionale rapporto tra le donne e la Chiesa”. Ma “la fotografia non sarebbe completa – e, soprattutto, non ci aiuterebbe a capire difficoltà e opportunità di questo tempo – se non considerassimo anche un altro dato, che rimanda a una maggioranza che, ancora, continua a dichiararsi cattolica. Più che una totale secolarizzazione della società, questa stagione ci consegna una domanda diffusa di celebrare con la Chiesa – o almeno in chiesa… – particolari momenti della vita: la nascita di un figlio, la prima Comunione e la Cresima, il matrimonio o la morte di una persona cara”. Allo stesso modo, “sappiamo quanto sia attesa e gradita la benedizione delle famiglie o la visita a un malato… C’è un desiderio di sentirsi coinvolti, di dar significato a quello che accade; in certi passaggi dell’esistenza si riaffaccia il richiamo a una religione storica e a un’identità comune, a un rito collettivo in cui riconoscersi e di cui sentirsi parte”. Certo, osserva il presule, “questa domanda nell’immediato spesso non porta con sé una disponibilità sul medio e lungo periodo; inoltre, si presenta fortemente marcata dalla coscienza individuale, dalla sensibilità e dai percorsi di vita del singolo”. Di fronte a questa situazione, l’arcivescovo cita un disagio che si può provare e che potrebbe portare alla “stanchezza dell’evangelizzatore”, alla “tentazione di prendere le distanze da una situazione che sconcerta”; all’“amarezza per le divisioni che, dal di dentro, lacerano e impoveriscono il corpo ecclesiale”. Ma “lo sguardo si rianima se davanti alla nostra situazione scegliamo di starci dentro con la fiducia che anch’essa è abitata dallo Spirito del Risorto e con la pazienza di chi non pretende di raccogliere i risultati del suo impegno. Lo sguardo si rianima se ci sentiamo inviati con il mandato di rivolgerci a tutti, attenti a riconoscere, sotto le fragilità, il volto di ciascuno, la sua domanda di incontro e di senso, la sua sete di Dio”. Allora, “come tornare ad affascinare alla bellezza della vita cristiana?”. “Punto di partenza – afferma mons. Maffeis – rimane la nostra relazione con Gesù Cristo, nutrita dalla frequentazione personale e comunitaria della Parola e da una partecipazione più consapevole alla liturgia; da proposte non occasionali di formazione e di spiritualità che, senza perdere l’originalità del messaggio cristiano, portino a rinnovare il linguaggio nelle omelie, nelle catechesi e nella celebrazione dei sacramenti; che aiutino ad affrontare i temi culturalmente emergenti, promuovendo occasioni di incontro, approfondimento e discernimento”. “Ripartire da Dio con umiltà, gratuità e gioia, come ricordava Papa Francesco al convegno della Chiesa italiana riunita a Firenze nel 2015: anche per esperienza personale ci accorgiamo che, quando la nostra vita conosce questi tratti evangelici, non fatica a trovare punti di incontro e di aperture anche per l’annuncio. Così ci si scopre capaci di tessere un dialogo costruttivo con gli altri; dialogo che non svende la propria identità e le sue esigenze, ma che – proprio in forza della fede – pone altrettanta attenzione a offrire ascolto, comprensione e proposta”, conclude l’arcivescovo.