“Per quanto una persona accumuli beni in questo mondo, di una cosa siamo assolutamente certi: che nella bara essi non ci entreranno”. Così il Papa, durante l’udienza di oggi, ha svelato “l’insensatezza” del vizio dell’avarizia. “Noi non possiamo portare con noi i beni”, ha aggiunto a braccio: “Il legame di possesso che costruiamo con le cose è solo apparente, perché non siamo noi i padroni del mondo: questa terra che amiamo, in verità non è nostra, e noi ci muoviamo su di essa come forestieri e pellegrini”. “Queste semplici considerazioni ci fanno intuire la follia dell’avarizia, ma anche la sua ragione più recondita”, ha commentato Francesco: “Essa è un tentativo di esorcizzare la paura della morte: cerca sicurezze che in realtà si sbriciolano nel momento stesso in cui le impugniamo”. A questo proposito, il Papa ha citato la parabola dell’uomo stolto, che “aveva calcolato tutto, programmato il futuro. Non aveva però considerato la variabile più sicura della vita: la morte. In altri casi, sono i ladri a renderci questo servizio”. Di qui la perenne attualità delle parole di Gesù nel discorso della montagna: “Non accumulatevi tesori sulla terra, dove tignola e ruggine consumano e dove ladri scassinano e rubano; accumulatevi invece tesori nel cielo, dove né tignola né ruggine consumano, e dove ladri non scassinano e non rubano”. “Sempre nei racconti dei padri del deserto si narra la vicenda di qualche ladro che sorprende nel sonno il monaco, e gli ruba i pochi beni che custodiva nella cella”, ha raccontato il Papa: “Al risveglio, per nulla turbato dall’accaduto, il monaco si mette sulle tracce del ladro e, una volta trovatolo, anziché reclamare la refurtiva, gli consegna le poche cose rimaste dicendo: ‘Hai dimenticato di prendere queste!’”.