“La Chiesa, con i suoi limiti, è un grande dono per noi e per l’umanità degli italiani. Lo vediamo: è una realtà che chiama alla speranza. Il Giubileo coinvolgerà i nostri popoli nel cammino di pellegrini della speranza”. Ne è convinto il card. Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Cei, che nell’introduzione al Consiglio permanente dei vescovi italiani, in corso a Roma fino al 24 gennaio, ha lanciato un invito preciso: “Non facciamoci intimidire da letture solo sociologiche della Chiesa! Ben altre sono le letture della realtà e del mistero della Chiesa! Non facciamoci intimidire da una cultura per cui la fede è al tramonto! È la prepotenza del pessimismo, che pare realismo. Il pessimismo diventa una specie di sicurezza e motiva la pigrizia e l’abitudine. Non facciamoci intimidire da letture della Chiesa che interpretano la nostra azione come politica. Siamo aperti al dialogo, ma non ci lasceremo dire da altri quale sia il contenuto dell’azione caritativa o della missione, che non sono mai di parte, perché l’unica parte della Chiesa è Cristo e la difesa della persona, della vita, dall’inizio alla fine”. “Certe letture vogliono dividere vescovi e cristiani, mentre invece sento tanto viva la comunione tra vescovi e popolo e questo vale più dei like dei social”, l’analisi del cardinale. “Ci sono stati anni difficili anche in passato per le Chiese in Italia”, ha fatto notare Zuppi tracciando un excursus dal dopo-Concilio fino al Convegno nazionale della Cei del 1976, “Evangelizzazione e promozione umana”, che ha inaugurato il “metodo sinodale”, passando per il convegno sui “mali” di Roma indetto dal card. Poletti, “grande pastore”, nel 1974 in vista del Giubileo del 1975, che “molti sconsigliavano di indire, considerandolo trionfalistico, ma che Paolo VI volle e fu un grande evento di fede”. “Dopo il Vaticano II, quando la comunità pareva spezzarsi nella contrapposizione tra gruppi, vescovi e contestazione, la Chiesa praticò con fiducia una comunione inclusiva nell’ascolto mutuo”, ha sintetizzato il presidente della Cei, sottolineando che il primo Convegno nazionale decennale della Cei nel 1976 “ha ispirato anni di programmi, azioni, scelte pastorali, nonostante il senso di crisi e di sconcerto di allora”. “Ricordo quei momenti difficili, che ho vissuto un poco quand’ero giovane e, oggi, comprendo come illuminati Pastori, a partire da San Paolo VI, non ebbero timore di predicare il Vangelo, di far parlare, di ascoltare, di convocare, consapevoli di essere un unico popolo di Dio, che aveva e ha una missione in Italia”, ha testimoniato Zuppi. Progressivamente, con San Giovanni Paolo II, “il popolo cristiano sentì che c’era futuro per la missione della Chiesa”. “Non dimentichiamo la storia!”, l’appello del cardinale: “Siamo in un tempo in cui si cancellano passato e tradizione, quasi quanto è avvenuto prima di noi sia sbagliato o irrilevante; invece la storia, di cui siamo eredi, ci conforta. Le crisi presentano una Chiesa infragilita. Non ci spaventino fragilità e piccolezza! Non sono solo indici problematici, ma anche la quotidiana realtà in cui la Chiesa da sempre vive”, in una società in cui invece “la cifra dei rapporti è l’interesse o si esprime nella conflittualità”.