In Italia la forbice tra ricchi e poveri si amplia: lo denuncia il nuovo rapporto di Oxfam, pubblicato ogni anno in occasione del World economic forum di Davos. Il quadro distribuzionale tra il 2021 e il 2022 mostra quasi un dimezzamento della quota di ricchezza detenuta dal 20% più povero (passata dallo 0,51% allo 0,27%), a fronte di una sostanziale stabilità della quota del 10% più ricco degli italiani. Se a fine 2021 la ricchezza del top-10% era 6,3 volte superiore a quella detenuta dalla metà più povera della popolazione, il rapporto supera il valore 6,7 nel 2022. Ancor più al vertice della piramide distributiva, le consistenze patrimoniali nette dell’1% più ricco (titolare, a fine 2022, del 23,1% della ricchezza nazionale) erano oltre 84 volte superiori alla ricchezza detenuta complessivamente dal 20% più povero della popolazione italiana. Secondo Oxfam dall’inizio della pandemia fino al mese di novembre 2023 il numero dei miliardari italiani è aumentato di 27 unità (passando da 36 a 63) e il valore dei patrimoni miliardari (pari a 217,6 miliardi di dollari a fine novembre 2023) è cresciuto in termini reali di oltre 68 miliardi di dollari (+46%). Nel corso del 2023 è cresciuto sensibilmente anche il numero dei multimilionari italiani: l’insieme dei titolari di patrimoni finanziari superiori a 5 milioni di dollari ha visto 11.830 nuovi ingressi su base annua. Il valore complessivo dei loro asset è lievitato nel corso dell’anno passato di 178 miliardi di dollari in termini reali.
La disuguaglianza nella distribuzione dei redditi netti equivalenti in Italia è rimasta pressoché stabile nel 2021 (ultimo anno per cui le stime distribuzionali sono accertate) rispetto al 2020, grazie a un ruolo incisivo dei trasferimenti pubblici emergenziali e del reddito di cittadinanza. Il profilo poco egalitario della distribuzione dei redditi colloca il nostro Paese in ventunesima posizione sui 27 Paesi membri dell’Ue.
Nel 2022 il fenomeno della povertà assoluta mostrava in Italia una maggiore diffusione rispetto all’anno precedente. Poco più di 2 milioni e 180 mila famiglie per un totale di 5,6 milioni di individui versavano nel 2022 in condizioni di povertà assoluta. L’incidenza della povertà a livello familiare è passata in un anno dal 7,7% all’8,3%, mentre quella individuale è cresciuta dal 9,1% al 9,7%. Mikhail Maslennikov, policy advisor su giustizia economica di Oxfam Italia stima che le misure che hanno sostituito il reddito di cittadinanza porteranno ad una riduzione di beneficiari “di 500.000 unità rispetto alle famiglie eleggibili per il reddito di cittadinanza. Misure destinate ad aumentare la disuguaglianza, l’indigenza e l’esclusione sociale”.
“La riduzione delle disuguaglianze rappresenta un tema cui nessun governo, al netto della retorica, ha finora attribuito centralità d’azione – sottolinea il report di Oxfam -. Il Governo Meloni non fa eccezione e il suo primo anno è stato caratterizzato da politiche del lavoro incapaci di ridimensionare il fenomeno della povertà lavorativa, da una riforma fiscale che riduce l’equità e l’efficienza del sistema impositivo italiano e dall’abbandono dell’approccio universalistico alla lotta alla povertà”. Oxfam chiede al governo di “ripensare profondamente le misure per l’inclusione sociale e lavorativa introdotte nel 2023, riabbracciando l’approccio universalistico che garantisce a chiunque si trovi in difficoltà la possibilità di accedere a uno schema di reddito minimo fruibile fino a quando la condizione di bisogno persiste”. In materia fiscale di prevedere, tra l’altro, l’introduzione di un’imposta progressiva sui grandi patrimoni. In Italia, a titolo esemplificativo, l’imposta potrebbe essere rivolta al solo 0,1% più ricco della popolazione con un patrimonio netto individuale sopra i 5,4 milioni di euro. Con un potenziale gettito stimato tra 13,2 e 15,7 miliardi di euro all’anno.
Tra le misure per contrastare il lavoro povero Oxfam caldeggia, tra l’altro, l’introduzione di un salario minimo legale indicizzato all’inflazione, “introdurre forti limitazioni all’esternalizzazione del lavoro e prevedere una drastica riduzione delle forme contrattuali a tempo determinato, ricorrendo a poche e stringenti causali”.