“Dedico questo premio alla memoria di Giovanbattista Cutolo. La sua è una vicenda che ci ammutolisce. Nella mia città, Napoli, si trova tutto quello che c’è al mondo: il dolore e la gioia, la violenza e la speranza. L’unico modo per uscirne è l’incontro”. Con un pensiero rivolto al ventiquattrenne napoletano ucciso all’alba del 31 agosto durante una lite per un parcheggio, in occasione della Mostra del Cinema di Venezia, Mario Martone ha ricevuto il Premio Robert Bresson, il riconoscimento, giunto alla ventiquattresima edizione, conferito dalla Fondazione Ente dello Spettacolo e dalla Rivista del Cinematografo, con il patrocinio del Dicastero per la Cultura e l’Educazione e del Dicastero per la Comunicazione della Santa Sede, “al regista che abbia dato una testimonianza, significativa per sincerità e intensità, del difficile cammino alla ricerca del significato spirituale della nostra vita”.
Un premio che onora un autore colto, poliedrico, non incasellabile nei tradizionali schemi della critica italiana: “Ho avuto tante esperienze bellissime a Venezia – ricorda il regista – dalla Biennale Teatro nel 1982 al mio debutto cinematografico nel 1992. Ma non mi aspettavo un’emozione del genere. È un premio che ti pone delle domande: la mia storia è politicamente lontana dal mondo cattolico, è chiaro che quando ho ricevuto la notizia mi sono sorpreso. Le domande hanno anche delle risposte, quindi sono molto contento di questa apertura così importante. Oggi c’è un Papa, Francesco, che ha un’importanza enorme per tutti noi: abbatte frontiere, fa incontrare esseri umani. In un momento così difficile, come dimostra la tragica vicenda del giovane Cutolo, ci fa capire quanto l’incontro sia l’unica cosa che abbiamo”.
A fare gli onori di casa, allo Spazio Cinematografo di Ente dello Spettacolo, mons. Davide Milani, presidente della Fondazione Ente dello Spettacolo e direttore della Rivista del Cinematografo.
Sul palco con Martone, sua il card. José Tolentino de Mendonça, prefetto del Dicastero per la cultura e l’educazione, omaggiato anche dal presidente Cicutto (“Grazie a lui, la Santa Sede è tornata alla Biennale, nelle sezioni Architettura e Arte, con un padiglione all’Isola di San Giorgio”). “Le opere di Martone – ha affermato Tolentino – sono spesso sofisticati congegni di montaggio che ci restituiscono il senso di una totalità e risolvono dentro la propria parabola narrativa le incongruenze della vita, senza cancellarle. Le speranze tradite dei giovani rivoluzionari di Noi credevamo, gli atti mancati del poeta tormentato ne Il giovane favoloso, il tarlo della frustrazione che impedisce la piena realizzazione dell’artista di fama in Qui rido io: rappresentano i vuoti di ogni esistenza. Ma il cinema di Martone sa riappianarli con l’aiuto della poesia, l’intelligenza dell’ironia, l’elastico del giudizio”.