“Riscoprire con stupore il dono di aver ricevuto il Vangelo nelle nostre lingue. Ripensare con gratitudine al dono di essere stati evangelizzati e di essere stati tratti da popoli che, ciascuno a suo tempo, hanno ricevuto il Kerygma, l’annuncio del mistero di salvezza, e accogliendolo sono stati battezzati nello Spirito Santo e sono entrati a far parte della Chiesa. La Chiesa Madre, che parla in tutte le lingue, che è una ed è cattolica”. È il primo invito del Papa nell’omelia del Concistoro, in cui Francesco – sulla scorta del brano evangelico della Pentecoste – ha affermato che, “prima di essere apostoli, prima di essere sacerdoti, vescovi, cardinali, siamo ‘Parti, Medi, Elamiti’ eccetera eccetera. E questo dovrebbe risvegliare in noi lo stupore e la riconoscenza per aver ricevuto la grazia del Vangelo nei nostri rispettivi popoli di origine”. Per Francesco, questa lezione è “molto importante e da non dimenticare”: “Perché lì, nella storia del nostro popolo, direi nella carne del nostro popolo, lo Spirito Santo ha operato il prodigio della comunicazione del mistero di Gesù Cristo morto e risorto. Ed è arrivato a noi nelle nostre lingue, sulle labbra e nei gesti dei nostri nonni e dei nostri genitori, dei catechisti, dei sacerdoti, dei religiosi… Ognuno di noi può ricordare voci e volti concreti”. “La fede viene trasmessa in dialetto: non dimenticatevi questo, la fede viene trasmessa in dialetto, cioè, dalle mamme e dalle nonne”, ha ribadito il Papa, secondo il quale “siamo evangelizzatori nella misura in cui conserviamo nel cuore lo stupore e la gratitudine di essere stati evangelizzati. Anzi, di essere evangelizzati, perché in realtà si tratta di un dono sempre attuale, che chiede di essere continuamente rinnovato nella memoria e nella fede”. “Evangelizzatori ed evangelizzati, e non funzionari!”, l’invito a braccio.