Al termine della prima delle udienze del processo in corso in Vaticano sugli investimenti della Segreteria di Stato a Londra dedicata alle richieste delle parti civili, l’avvocato Roberto Lipari, che assiste lo Ior, ha chiesto “la condanna degli imputati e l’accertamento delle loro responsabilità penali” e la loro “condanna alla restituzione di quanto illecitamente sottratto”. “Il soggetto offeso dalle condotte degli imputati è in primo luogo il Santo Padre”, ha detto Lipari, secondo quanto ha riferito il “pool” di giornalisti ammessi nell’Aula polifunzionale dei Musei Vaticani, essendo stata vanificata la destinazione al Papa dei 700 milioni di euro erogati negli anni dall’Istituto per le finalità del Pontefice e accantonati dalla Segreteria di Stato. Per quanto riguarda il danno subito in proprio dallo Ior, il legale ha inoltre chiesto la liquidazione equitativa del danno morale (plurimo) e di quello reputazionale, quest’ultimo stimato da una perizia in 987.494 euro. “Sono state distratte somme destinate al Santo Padre per impiegarle in investimenti speculativi – ha denunciato l’avvocato Lipari nelle sue conclusioni -, quindi occorre restituire i fondi al vincolo che avevano e rimetterli nella piena disponibilità del Pontefice per le necessità della Chiesa”. “Questi fondi siano depositati presso lo Ior”, ha inoltre chiesto il legale. “In questo processo abbiamo visto tentativi di arricchimento personale, progetti di estrazione petrolifera in Angola, abbiamo visto il ricorso a strumenti finanziari nei quali l’amministratore di beni ecclesiastici perdeva ogni possibilità di controllo e l’impiego del denaro della Chiesa senza alcun controllo e accuratezza – ha elencato il difensore della parte civile Ior nelle sue quattro ore di arringa -, tutto in gestito in modo autoreferenziale da un monsignore esperto in diritto canonico e un commercialista privo di qualsiasi esperienza in investimenti finanziari. Abbiamo visto l’impiego di soldi senza due diligence, abbiamo visto ricatti estorsivi, abbiamo visto interni solidarizzare con gli estorsori, abbiamo visto ingenti risorse economiche gestite senza tenere conto dei vincoli imposti dai donanti”. Lipari ha ricordato che lo Ior – la cui denuncia al promotore di giustizia, insieme a quella del revisore generale, fece partire l’inchiesta sulla compravendita del palazzo di Londra – si è costituito parte civile per tutti i capi d’imputazione e per tutti gli imputati. Si è quindi soffermato sui vari reati, come il peculato, che “ha offeso il sacrificio di chi ha fornito le offerte alla Chiesa”. Peculato, tra l’altro, che ha riguardato non solo le offerte dei fedeli, ma anche gli utili messi a disposizione ogni anno dallo Ior e accantonati dalla Segreteria di Stato per la disponibilità del Papa e della Santa Sede. “Non era solo l’Obolo di San Pietro, che non dura – ha spiegato -: quindi o i fondi dello Ior o i lasciti posti a riserva. Questi sono i fondi intaccati dal card. Becciu e da Fabrizio Tirabassi per indebitarsi”. A proposito del palazzo di Londra, il legale ha parlato di un “investimento incompatibile col diritto canonico”. “Quell’investimento nel fondo Athena di Raffaele Mincione non era in linea col profilo dell’investitore – ha sottolineato -. Non solo quello ipotizzato nel petrolio, ma non lo era anche investire in un fondo chiuso in cui tutto il potere è in mano al gestore. La Segreteria di Stato non poteva fare un investimento speculativo, non era un investitore qualificato”. Lipari ha anche contestato l’aver ipotizzato l’investimento petrolifero in Angola, considerando “i danni all’ambiente, il fatto che fosse un Paese accusato di mancato rispetto dei diritti umani, e anche i presunti rapporti tra la Falcon Oil e un trafficante d’armi francese, Pierre Falcone”. Sulla corruzione, Lipari si è soffermato sui rapporti tra Mincione ed Enrico Crasso. Sulla truffa, l’ha ricondotta alla “manipolazione del valore dell’immobile, aumentati di 101 milioni di sterline nell’arco di un anno e mezzo” (ha ricordato due perizie stilate lo stesso giorno in cui c’era una differenza di prezzo di 49 milioni di sterline). “Perché la Segreteria di Stato doveva pagare 230 milioni, quando Mincione ce l’aveva in bilancio a 208 milioni?”, ha chiesto. Infine ha parlato dell’estorsione, relativa alla trattativa con Gianluigi Torzi perché uscisse dalla proprietà, con in questo caso anche il ruolo dell’allora vertice dell’Aif, il presidente René Bruhlart e il direttore Tommaso Di Ruzza, accusati di abuso d’ufficio, “che non hanno solo violato la legge, ma hanno asservito il loro ruolo, ha asservito la funzione pubblica dell’Aif per un fine non lecito”. E in definitiva “hanno portato al ridicolo il sistema finanziario vaticano”, ha affermato l’avvocato Lipari.