“Pensare ad una soluzione solo in termini di respingimenti o di ordine pubblico non fa giustizia al fenomeno e alla dignità dell’uomo”. Nella conferenza stampa di chiusura dei lavori del Consiglio episcopale permanente, mons. Giuseppe Baturi, arcivescovo di Cagliari e segretario generale della Cei, ha espresso in questi termini la “preoccupazione” della Chiesa italiana per le nuove misure del governo in tema di migrazioni, e in particolare per i centri di permanenza per il rimpatrio.
Autonomia differenziata, abusi, “snellimento” delle strutture della Cei sono stati gli altri temi trattati. “Non si può ridurre il fenomeno migratorio solo a misure di contenimento, di detenzione, o ad azioni di rimpatrio”, ha affermato Baturi: “Le misure di semplice detenzione potrebbero non raggiungere lo scopo, se non accompagnate da altre misure”. Di qui la necessità di “un dialogo con la Chiesa e la società civile, per difendere la dignità umana dei migranti e attuare un percorso per accompagnare, proteggere, promuovere integrare i migranti, come raccomanda Papa Francesco”. Le donne e i bambini, in particolare, “hanno bisogno di maggiore tutela”, ha osservato il segretario generale della Cei, secondo il quale “occorre avviare una riflessione con le comunità locali, con le Regioni, conoscere le loro storie individuali, per proteggere i migranti”.
Per quanto riguarda la Chiesa italiana, come ha detto il card. Zuppi nella sua introduzione ai lavori, “c’è attenzione e vigilanza perché non venga lesa la dignità delle persone e sia garantito un percorso basato sui quattro verbi di Papa Francesco sull’accoglienza”. “Bisogna sollecitare un dialogo maggiore tra le istituzioni della società civile, la Chiesa e i soggetti del terzo settore, affinché i centri per i migranti siano ben collegati sul territorio”, ha specificato Baturi: “Per i minori non accompagnati è urgente una presa in carico multidisciplinare, attenta alla peculiarità delle loro storie. Altrimenti il rischio è che le soluzioni siano inefficaci e si trasformino anche in un danno alla dignità della persona”.