Nell’ultimo anno, in uno scenario socio-economico di forte incertezza, nelle imprese italiane sono aumentate le assunzioni e la formazione del personale, ma è crollato il legame con l’azienda e il senso di appartenenza dei lavoratori. Un segnale del crescente malessere, dimostrato dal fatto che solo un lavoratore su cinque (il 19%, in caduta libera rispetto al 33% dello scorso anno) percepisce benessere e serenità nella sua organizzazione, mentre ben il 15% dice apertamente di stare male nel posto di lavoro (in aumento di 4 punti). Ma i direttori HR (Human resources) non hanno la stessa percezione: quasi metà dei responsabili delle risorse umane italiani rileva un livello di benessere nella sua organizzazione, una quota in aumento rispetto allo scorso anno (43% contro il 31%) e solo l’1% evidenzia vero malessere (era il 19% nel 2022). Non a caso, se chiedono ai lavoratori le principali preoccupazioni per il futuro nel loro impiego, queste sono proprio malessere psicologico, stanchezza e rischio di burn out, mentre nella percezione degli HR i lavoratori sono soprattutto preoccupati per la riduzione dello stipendio e le difficoltà ad affrontare le spese. Per il 44% dei lavoratori italiani la propria azienda non ha attuato alcuna strategia per trattenere le persone o favorire il senso di appartenenza, e quando c’è stata, si è limitata a indagini di clima interno (21%) o attività di formazione (18%) con scarsi risultati. Mentre per gli HR solo il 15% delle aziende è realmente “inadempiente” e azioni di formazione, indagini interne e piani di sviluppo competenze hanno prodotto effetti concreti, soprattutto un miglioramento del clima aziendale. Sono alcuni risultati dell’HR Trends & Salary Survey 2023, la ricerca di Randstad Professionals – divisione di Randstad specializzata in ricerca e selezione di middle e senior management – in collaborazione con l’Alta Scuola di Psicologia Agostino Gemelli (Asag) dell’Università Cattolica, che ha esplorato gli ultimi trend in ambito risorse umane. Un’indagine quali-quantitativa, condotta su un campione di oltre 300 responsabili risorse umane e 630 potenziali candidati (occupati e non occupati), per mettere a confronto le loro opinioni sull’impatto in azienda dello scenario socio-economico, sulle strategie di risposta delle organizzazioni e sul significato di “human sustainability”. Per il 70% degli HR il tema del benessere è diventato più importante in azienda nell’ultimo anno (e anche per il 60% dei candidati), per il 43% anche a fronte anche a fronte di una possibile riduzione dello stipendio e delle opportunità di carriera (per i candidati il 40%). Nel livello di benessere o malessere percepito però lo scollamento è evidente: il benessere migliora per gli HR (il 43%, contro il 34% dello scorso anno), peggiora decisamente per i candidati (il 19%, contro il 33% del 2022). E invece, il livello di malessere migliora per gli HR (solo l’1% lo percepisce, contro il 19% del 2022) e peggiora per i candidati (il 15%, contro l’11% di un anno fa). Sia HR che candidati rilevano tra i principali elementi di malessere il sovraccarico di lavoro (in forte crescita per i candidati) e la mancanza di motivazione, ma gli HR evidenziano anche stress e ansia e mancanza di obiettivi, i candidati sovraccarico di lavoro, insoddisfazione per gli incarichi e impossibilità di fare salti professionali. Il concetto di occupazione sostenibile per gli HR significa principalmente sviluppo di professionalità (20%), creare la condizione ideale (19%), equilibrio tra vita privata e lavoro (15%). Mentre per i candidati il work life balance è al primo posto nel 24% dei casi, e poi con percentuali attorno al 10% si collocano il salario adeguato e l’attenzione all’ambiente.