“La società italiana non è in pace”. Ne è convinto il card. Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Cei, che nella parte finale della sua introduzione al Consiglio permanente dei vescovi italiani ha citato i femminicidi, “spesso amara conclusione di un processo di violenza sulla donna”. “La strage delle donne continua spesso causata dalla ricerca di libertà da un rapporto violento e possessivo (38 sono morte per mano di compagni o ex partner)”, ha ricordato il cardinale: “Sono 79 le donne assassinate dall’inizio dell’anno: 61 in ambito familiare-affettivo. C’è in gioco il rispetto verso le donne, ma ancora più in profondità il nostro modo di essere famiglia, di vivere in una trama di relazioni”. “Abbiamo il compito di fornire strumenti per aiutare a guarire dalla malattia mortale che è il disprezzo del più debole e la volontà di sottomissione”, l’invito: “Al contempo, dobbiamo trovare nuovi modi per tutelare i più deboli e fragili, per identificare il disagio e trovare soluzioni in grado di prevenire tanta violenza”. “Il mondo dei giovani è coinvolto dalla violenza: risse, bullismo, atti vandalici, violenze sessuali, ma anche spaccio, furti e rapine, a volte di baby gang”, l’analisi di Zuppi: “I social sono il tam-tam dove si documentano le gesta. Violenze verso minorenni o adulti, compiute da minori: segnali di una tendenza in atto da anni, amplificata dalla pandemia”. In particolare i dati sui suicidi degli adolescenti, che “stanno lievitando”, sono “drammatici”: “per noi non devono essere solo numeri, ma sono persone, volti, storie. Ci segnalano un disagio diffuso che ci deve interpellare”. “Tutto avviene diversamente dal passato in pubblico: nella ‘fornace’ dei social, spietati e agonistici”, ha osservato il cardinale: “Nessuna generazione prima ha conosciuto quest’esperienza: ci si deve autodefinire, si deve mettere il volto e il corpo in mostra, si misurano quanti ti seguono. È facile sui social sbagliare e finire alla gogna, segnati dall’ansia, alimentata dalla crisi dei grandi sogni collettivi e da reti educative e relazionali molto più fragili”. Per questo è necessario riflettere sul tema dell’educazione, che “non è un’emergenza ma è la quotidianità della vita della Chiesa”: “abbiamo un potenziale straordinario di gente che lavora per l’educazione da anni e in tante parti d’Italia. Occorre profondere uno sforzo almeno pari a quello dell’iniziazione cristiana nei confronti dei genitori e degli adulti in generale. In realtà sono loro i veri educatori con il loro stile di vita, con i ‘sì’ e i ‘no su cui basano la propria vita ancor prima di trasmetterli ai figli”.