“A Milano si contano oltre 220mila iscritti alle sue 8 università; la città è al top per numero e dimensione delle strutture, i suoi atenei sono in continua ascesa nelle classifiche globali di qualità. Eppure, il capoluogo pare ignorare il valore delle sue università, la politica non le aiuta e il tessuto cittadino non offre corsie preferenziali per chi sceglie Milano come sede di studio”. L’analisi viene da “Il Segno”, mensile della diocesi di Milano, che reca un approfondito dossier sull’argomento. “Così gli atenei fronteggiano i loro problemi autonomamente, progettano e aprono campus, si mobilitano per creare possibilità di alloggio ai fuori sede (in una difficile competizione con i privati), applicano criteri sempre più stretti per selezionare gli accessi degli studenti alle facoltà”. Il Segno di settembre dedica dunque al tema la copertina, evidenziando quanto sia “urgente analizzare il sistema universitario milanese mediante una lettura territoriale e collettiva”. È anche questo, ad esempio, lo scopo del Mheo (Milan higher education observatory), che dallo scorso maggio raccoglie e analizza per la prima volta i dati dei singoli atenei milanesi e lombardi (15 in totale). Nel servizio parlano docenti, responsabili di sportelli psicologici e anche due rappresentanti delle cappellanie universitarie, che descrivono gli sforzi della Chiesa per offrire risposte a chi ha “bisogno di senso”.
Ampio spazio, inoltre, nel mensile alle cure palliative, “nate per la gestione ultima delle neoplasie, che oggi hanno allargato il proprio campo di intervento su più fronti: controllare i sintomi della malattia rispettando la dignità del malato, supportare il nucleo familiare nel percorso clinico, assistenziale ed esistenziale in osservanza del principio di autodeterminazione del malato”. Ne parla Giada Lonati, direttrice sociosanitaria di Vidas, in una intervista sull’importanza di un corretto approccio ai concetti del dolore e del limite e sulla necessità di migliorare la capacità relazionale e di ascolto.
L’inchiesta del mese si focalizza invece sui padri separati e divorziati – stimati in più di 60mila nella sola città metropolitana di Milano – che, tra alimenti da pagare e costi per un alloggio, spesso precipitano nell’indigenza pur avendo un lavoro.