Suicidio assistito: mons. De Luca (Termoli), “la storia di Davide interpella tutti”. Diventare “comunità sananti” con “strutture che sostengano malati e familiari”

“La storia di Davide, che in una lunga e intensa lettera ha comunicato a tutti la scelta di porre fine alla sua vita attraverso il suicidio medicalmente assistito in Svizzera, non lascia indifferenti ma, accanto a sinceri sentimenti di vicinanza e di solidarietà alla famiglia, interpella anche il credente che ripone in Dio il senso della vita e della sua fine e che si rende presente con la preghiera di suffragio con la quale la Chiesa accompagna ogni persona che abbandona questo mondo”. Si apre con queste parole la riflessione di mons. Gianfranco De Luca, vescovo di Termoli-Larino, sul caso di Davide Maciocco, 40enne di Termoli e tetraplegico da 20 anni dopo un incidente, che ha comunicato la scelta di porre fine alla sua vita ricorrendo al suicidio medicalmente assistito in Svizzera.
“In questo momento – assicura il presule – mi sento vicino ai suoi familiari, amici, conoscenti e con loro condivido dolore sincero e rivolgo al Signore l’invocazione di tutta la nostra Chiesa locale”. “Il nostro fratello Davide – prosegue mons. De Luca –, nel suo ultimo messaggio sui social, con grande lucidità affida a tutti la testimonianza della sua condizione esistenziale: ‘Mi sembra di aver vissuto due volte in una vita… Amo troppo la vita, perciò ho scelto di abbandonarla’”. “Con grande semplicità e umiltà – afferma il vescovo – mi sembra di dover professare la fede cristiana nel Signore della vita: la vita è un dono, e quindi anche un compito, una responsabilità, una vocazione che viene da Lui, e come tale va vissuta. La mia fede riconosce quindi il senso positivo della vita umana come un valore in sé, che la luce della fede conferma e valorizza nella sua dignità”. Secondo mons. De Luca, “la scelta di Davide suscita in noi anche il problema della cura e dell’accompagnamento di quanti vivono drammi analoghi a quello di Davide, la cui libertà è fortemente condizionata dalla malattia e dal dolore, perché ad essa viene negata ogni ulteriore possibilità di relazione umana, di senso dell’esistenza”.
“In questa società secolarizzata in cui molte persone muoiono da sole e desiderano e chiedono la morte come rimedio al peso della vita, possiamo trovare elementi di riflessione sull’importanza di essere vicini a chi muore e a chi soffre”, osserva il vescovo, per il quale “non possiamo mai tirarci indietro di fronte al dolore e alla sofferenza. Fare un passo indietro significa lasciare il malato solo con il suo dolore e la sua sofferenza; non possiamo fare questo”. “Quello che dobbiamo guardare – ammonisce mons. De Luca – non è solo il problema del dolore ma anche il problema della solitudine, intesa non tanto come assenza di persone, ma come solitudine vitale, quella solitudine in cui il malato affronta la crisi interiore causata dalla sua malattia”. Il vescovo richiama l’importanza di “prendersi cura” e “accompagnare il malato non solo con il sollievo del dolore e della sofferenza fisica, che naturalmente deve venire prima, ma anche con un sostegno globale per il malato nella sua dimensione fisica, psicologica, sociale, familiare, spirituale ed economica”. “La società in generale, e la comunità cristiana, in particolare, devono diventare una vera comunità sanante, dove si dia voce a tutta la centralità delle relazioni interpersonali, evidenziata dall’antropologia contemporanea ma non sufficientemente praticata negli attuali processi di cura e assistenza”, la convinzione del vescovo, che conclude: “Il caro fratello Davide, ci provoca e ci interpella riguardo ad una realtà dolorosa di fronte alla quale il nostro territorio, in particolare, mostra gravi carenze e sollecita tutti, livelli istituzionali, associativi e ogni singola realtà attiva in ambiti assistenziali, a prendere seriamente in considerazione la promozione di strutture che sostengano ammalati e familiari, per mostrare concreta condivisione e dare loro speranza e fiducia”.

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