Da oggi, fino al 15 settembre, la Rete ecclesiale latinoamericana sulle migrazioni, i rifugiati, la tratta e gli sfollati (Clamor), organicamente collegata al Celam, tiene la sua 6ª assemblea generale, con l’obiettivo di “analizzare i nuovi scenari migratori in America Latina e nei Caraibi, individuando le principali sfide per il 2024”. L’incontro si terrà nella sede del Consiglio episcopale latinoamericano e caraibico (Celam) a Bogotá e vedrà la partecipazione di 80 delegati provenienti da 20 Paesi della regione, oltre che dal Nord America e dal Vaticano. Parteciperanno anche rappresentanti dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) e dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr). Elvy Monzant, segretario esecutivo di Red Clamor, ha spiegato che questa assemblea “si svolgerà in un momento di profondi cambiamenti, in un contesto migratorio latinoamericano di peggioramento delle situazioni di vulnerabilità e di violazione dei diritti fondamentali”. Sarà applicata la metodologia del vedere, giudicare e agire. “Ci fermeremo a discernere i segni dei tempi, a guardare la realtà, ad ascoltare le grida dei migranti per illuminare, alla luce della parola di Dio e del magistero di Papa Francesco, le linee del piano strategico della rete Clamor 2023 2025”. L’assemblea avrà anche carattere elettivo, e sarà proposto al Celam il vescovo che prenderà il posto dell’attuale presidente, mons. Gustavo Rodríguez, arcivescovo dello Yucatán (Messico), che da maggio ha assunto la presidenza di Caritas America Latina. Sono diversi i temi all’ordine del giorno di Clamor, ma il più importante sarà la crisi migratoria nel Darién, al confine tra Panama e Colombia. “Ciò che ci preoccupa di più è la situazione della migrazione attraverso il Darién, che è un grido di giustizia, che peggiora ogni giorno – afferma Monzant -. Siamo preoccupati per i migranti di molte nazionalità diverse, anche se al momento la nazionalità principale che attraversa il Darién è quella venezuelana, ma anche africani, haitiani, cubani, ecuadoriani e colombiani”. Infatti, “il Darién non è un punto di passaggio, non è un attraversamento, è un collo di bottiglia, è una giungla pericolosa dove le mafie si sono radicate e hanno trasformato questi migranti in merce, approfittando del loro dolore. Ci sono morti, stupri, è una ferita aperta nella pelle, nel corpo dell’America Latina, una ferita che sanguina, e noi vogliamo dare una risposta specifica”. È dei giorni scorsi, inoltre, la notizia che il Governo panamense inizierà a espellere e rimpatriare i nuovi arrivati. All’attenzione dell’assemblea anche la situazione del popolo haitiano, la frontiera Messico-Stati Uniti, le migrazioni dovute ai cambiamenti climatici.