“Attraverso il mercato nero qui in Colombia era facile per noi guerriglieri delle Farc procurarci pistole Beretta prodotte in Italia, ricordo alcuni modelli come la 9 millimetri, la famosa 7,65 Beretta. Era anche facile procurarsi armi Sig Sauer, che non hanno la sicura e possono essere usate rapidamente”. A dichiararlo, al Sir, è l’ex capo delle Farc, la principale guerriglia marxista della Colombia, e ore senatore di Comunes, Rodrigo Londoño Echeverri, più noto come Timochenko, a margine dell’evento pubblico promosso la scorsa settimana nell’ambito della Settimana della pace dalla Pontificia Università Javeriana di Bogotá, gestita dai Gesuiti.
“In questo importantissimo evento – ha proseguito Timochenko –, diciamo che le armi devono essere portate fuori dalla Colombia, le armi non si possono commerciare, sono uno strumento di morte, è assurdo che sia stato così facile procurarsi molte armi, i venditori venivano da noi nella boscaglia, le armi provenivano da molte parti del mondo, ma non sapevamo dove i trafficanti di armi le prendessero. In questa Settimana per la pace, sosteniamo l’appello di Papa Francesco al disarmo. Non conosco lo scandalo D’Alema (in Colombia rilanciato nei giorni scorsi da alcuni articoli del settimanale ‘Semana’), ma dobbiamo parlarne in una settimana così importante”.
Cristiano Morsolin esperto di diritti umani in Colombia, attraverso il quale sono state raccolte le dichiarazioni dell’ex capo delle Farc, aggiunge al Sir: “Come osservatore internazionale, sono stato testimone di uno storico incontro delle vittime all’Università Javeriana il 7 settembre scorso con il colonnello in pensione Luis Fernando Borja, reo confesso di oltre sessanta casi di ‘falsi positivi’, e con Rodrigo Londoño ‘Timochenko’, l’ultimo capo delle Farc. Malgrado l’ingentissima scorta, ha rilasciato queste brevi dichiarazioni, che sfiorano anche lo scandalo di corruzione internazionale nella intermediazione di armi tra Italia e Colombia, di cui qui si sta molto parlando, che vedono tra gli indagati, in Italia, anche l’ex premier Massimo D’Alema”.
La Settimana per la pace – prosegue Morsolin – ha confermato nel Paese l’impegno di importanti personalità, come l’arcivescovo emerito di Cali, mons. Darío Monsalve, in prima linea nel negoziato con l’Eln, chiamata a rispettare i 180 giorni di cessate-il-fuoco, i gesuiti Francisco De Roux, già presidente della Commissione della Verità (‘Penso che morirò cercando la pace’, ha detto durante un dibattito a Cartagena, confidando però sulle nuove generazioni) e Vicente Durán Casas”. Quest’ultimo, al dibattito promosso dalla Javeriana, ha affermato: “Siamo sempre in ritardo per la pace. Per questo non possiamo rimandarla. Sarà sempre imperfetta e per questo sarà sempre necessaria. Con tutti, altrimenti non lo sarà”. Frasi dette in risposta al Commissario per la Pace Danilo Rueda (già direttore della Commissione interecclesiale Giustizia e pace), angosciato per i continui omicidi di leader sociali nel Paese.