“La crescente precarizzazione e discontinuità lavorativa, associata a retribuzioni basse e mancanza di garanzie sociali, colpisce in particolare i giovani e le donne, rendendo più difficile il loro percorso di ingresso nel mercato del lavoro, la stabilità contrattuale e i livelli retributivi”. Lo ha affermato, in occasione della presentazione della ricerca “Situazione contributiva e futuro pensionistico dei giovani”, realizzata dal Consiglio nazionale dei giovani assieme a Eures, la presidente del Cng, Maria Cristina Pisani, che ha espresso “la necessità di un dibattito più approfondito sulle questioni previdenziali, che tenga conto anche delle esigenze delle giovani generazioni”. “Tutto questo comporta un impatto significativo sulla situazione previdenziale futura dei giovani”, ha sottolineato Pisani. “La questione demografica e il passaggio al sistema ‘contributivo puro’ mettono ulteriormente a rischio la sostenibilità del nostro sistema pensionistico. Questa tendenza impone ai cittadini di lavorare più a lungo per ricevere pensioni meno generose rispetto alle generazioni precedenti”.
Secondo l’analisi di Eures, prosegue la presidente del Consiglio nazionale dei giovani “la combinazione di discontinuità lavorativa e retribuzioni basse per i lavoratori under35 determinerà un ritiro dal lavoro solo per vecchiaia, con importi pensionistici prossimi a quello di un assegno sociale. Una situazione che sarà socialmente insostenibile”.
Queste le proiezioni originali sul valore delle pensioni atteso nei prossimi decenni per i lavoratori dipendenti che oggi hanno meno di 35 anni: se la permanenza si protraesse infatti fino al 2057, determinando così un ritiro quasi a 74 anni (73,6), l’importo dell’assegno pensionistico ammonterebbe a 1.577 euro lordi mensili (1.099 al netto dell’Irpef), valore che equivale a 3,1 volte l’importo dell’assegno sociale. Per i lavoratori in partita iva (sempre con permanenza fino al 2057 e un ritiro a 73,6 anni) l’importo dell’assegno pensionistico ammonterebbe a 1.650 euro lordi mensili (1.128 al netto dell’Irpef), valore che equivale a 3,3 volte l’importo dell’assegno sociale.
“Una stima – aggiunge Alessandro Fortuna, consigliere di presidenza con delega alle politiche occupazionali e previdenziali – che evidenzia la grave distorsione del sistema pensionistico, così come attualmente definito, che non soltanto proietta nel tempo le diseguaglianze reddituali, rinunciando a qualsivoglia dimensione redistributiva, ma addirittura risulta punitivo verso i lavoratori con redditi più bassi, costretti a permanere nel mercato del lavoro (al di là dell’anzianità contributiva) per tre o addirittura sei anni più a lungo dei loro coetanei con redditi più alti e ad una maggiore stabilità lavorativa”.