La mondanità, “quando entra nel cuore dei pastori”, “assume una forma specifica, quella del clericalismo”. Lo ricorda Papa Francesco in una lettera che ha inviato ai sacerdoti della diocesi di Roma, che porta la data del 5 agosto, memoria della dedicazione della basilica di Santa Maria Maggiore, ma che è stata diffusa oggi dalla Sala stampa vaticana.
“Scusate se lo ribadisco – dice il Pontefice -, ma da sacerdoti penso che mi capiate, perché anche voi condividete ciò in cui credete in modo accorato, secondo quel bel tratto tipicamente romano (romanesco!) per cui la sincerità delle labbra proviene dal cuore, e sa di cuore! E io, da anziano e dal cuore, sento di dirvi che mi preoccupa quando ricadiamo nelle forme del clericalismo; quando, magari senza accorgercene, diamo a vedere alla gente di essere superiori, privilegiati, collocati ‘in alto’ e quindi separati dal resto del popolo santo di Dio”. Il clericalismo, evidenzia il Santo Padre, “denota insomma una malattia che ci fa perdere la memoria del Battesimo ricevuto, lasciando sullo sfondo la nostra appartenenza al medesimo popolo santo e portandoci a vivere l’autorità nelle varie forme del potere, senza più accorgerci delle doppiezze, senza umiltà ma con atteggiamenti distaccati e altezzosi.
Il Papa cita la metafora del “latte” e della “lana” (ciò che nutre e che riscalda) presente in Ezechiele e in Sant’Agostino per ammonire dal rischio di “nutrire noi stessi e i nostri interessi, rivestendoci di una vita comoda e confortevole”. “Quando siamo preoccupati solo del latte, pensiamo al nostro tornaconto personale; quando cerchiamo in modo ossessivo la lana, pensiamo a curare la nostra immagine e ad aumentare il successo. E così – mette in guardia Francesco – si perde lo spirito sacerdotale, lo zelo per il servizio, l’anelito per la cura del popolo, finendo per ragionare secondo la stoltezza mondana”.
“La preoccupazione, allora, si concentra sull’‘io’: il proprio sostentamento, i propri bisogni, la lode ricevuta per sé stessi invece che per la gloria di Dio. Questo accade nella vita di chi scivola nel clericalismo: perde lo spirito della lode perché ha smarrito il senso della grazia, lo stupore per la gratuità con cui Dio lo ama, quella fiduciosa semplicità del cuore che fa tendere le mani al Signore, aspettando da Lui il cibo a tempo opportuno (cfr Sal 104,27), nella consapevolezza che senza di Lui non possiamo far nulla (cfr Gv 15,5)”, aggiunge il Papa, che spiega qual è “l’antidoto quotidiano alla mondanità e al clericalismo: guardare Gesù crocifisso, fissare gli occhi ogni giorno su di Lui che ha svuotato sé stesso e si è umiliato per noi fino alla morte (cfr Fil 2,7-8)”. Questo è “lo spirito sacerdotale: farci servi del Popolo di Dio e non padroni, lavare i piedi ai fratelli e non schiacciarli sotto i nostri piedi”, chiarisce il Pontefice, che invita a restare “vigilanti verso il clericalismo”.