Perdonanza Celestiniana: card. Semeraro, “perdonare è liberare l’altro dalle conseguenze del suo crimine, ma pure liberare se stessi dall’odio, dal risentimento”

Basilica di Collemaggio (Foto Arcidiocesi L'Aquila)

Il perdono descritto con il simbolo della porta. È l’immagine usata dal card. Marcello Semeraro, prefetto del Dicastero Vaticano per le Cause dei Santi, che oggi, a L’Aquila, ha aperto la Porta Santa della basilica di Collemaggio, per la 729esima Perdonanza Celestiniana. “Nella mente della Chiesa – ha ricordato il Prefetto – l’apertura della Porta Santa ha un duplice significato: anzitutto ricollegare la nostra vita – quella personale e pure quella sociale, storica, ecclesiale – alla sua sorgente che è Cristo. Non a caso Gesù parla di una porta, dalla quale si può entrare e uscire. È un linguaggio orientale, che indica una totalità e vuole dirci che l’intera nostra vita umana è compresa fra i due atti fondamentali dell’entrare e uscire: dalla nascita, ossia l’uscita dal seno materno, all’uscire per entrare negli spazi della vita, fino all’uscita definitiva con la morte”. Applicato a Cristo, ha aggiunto, “il simbolo della porta dice che tutta la vita del cristiano è un passare attraverso di lui, un muoversi mediante lui, a un vivere in lui. A noi cristiani – ha sottolineato – non basta parlare di Cristo; dobbiamo farci parlare da Cristo. Ecco il simbolo dell’apertura della porta”. Per il Prefetto c’è poi l’altro significato, incluso nella parola Perdonanza. Citando Papa Francesco, “Misericordia è saperci amati nella nostra miseria”, parole dette nella sua omelia davanti a Collemaggio lo scorso anno, il card. Semeraro ha spiegato: “quando parliamo di perdono, noi abitualmente indichiamo ciò che Dio fa per noi, oppure ciò che noi dobbiamo fare verso gli altri. Il primo lo abbiamo di nuovo compiuto con l’atto penitenziale all’inizio della Messa e lo facciamo ogni volta che celebriamo il sacramento della Riconciliazione e Penitenza; il secondo è un percorso difficile, faticoso, lungo. Perdonare – ha concluso – è liberare l’altro dalle conseguenze del suo crimine, ma pure liberare se stessi dall’odio, dal risentimento, dal desiderio di rivalsa e questo, forse, è il lavoro più arduo, più difficile”.

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