Sul suicidio assistito “sono necessari criteri certi”. E a stabilirli deve essere “la comunità scientifica”. Lo afferma Scienza & Vita con riferimento al caso di Trieste dei giorni scorsi, quando la commissione istituita dall’Asugi (Azienda sanitaria universitaria giuliano isontina – Trieste) per valutare la richiesta di suicidio assistito di una paziente triestina affetta da sclerosi multipla ha espresso parere positivo, riscontrando la sussistenza delle quattro condizioni previste dalla sentenza n. 242/2019 della Corte Costituzionale. Scienza & Vita, sia a livello nazionale che locale (S&V Trieste), esprime “sconcerto per tale decisione, in modo specifico relativamente all’affermazione che la signora è mantenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale”, si legge in una nota. L’associazione osserva che “è stato riconosciuto trattamento di sostegno vitale l’uso della maschera di ossigeno da utilizzare di notte, non per la difficoltà respiratoria legata alla malattia, ma per le apnee notturne. Non si tratta certamente di un salvavita dato che molti pazienti rifiutano questo presidio, in quanto lo ritengono fastidioso senza che ciò influisca sulla durata della loro vita. Ma, soprattutto, sono stati riconosciuti come trattamenti di sostegno vitale la necessità di assistenza per l’igiene, l’alimentazione, il cambio dei presidi di assorbenza, l’assunzione dei farmaci”. In altre parole, “la commissione ha ritenuto che qualsiasi tipo di assistenza alle persone disabili sia configurabile come trattamento di sostegno vitale, valutazione a nostro avviso erronea, oltre che pericolosa perché eccessivamente estensiva rispetto alle indicazioni della legge 217/2019, relativa alle Dat”. Nel caso della paziente triestina, precisa Scienza & Vita, “i trattamenti rientrano nella normale assistenza dovuta ad ogni persona che, per qualsiasi causa, non sia autosufficiente, senza la necessità che siano prescritti da un sanitario. Essi fanno parte della doverosa assistenza, frutto della solidarietà umana garantita dalla famiglia o, in sua assenza, dalle istituzioni”. Di qui l’auspicio che, “una volta per tutte e oltre ogni pregiudizio ideologico, sia la comunità scientifica ufficiale, e non le sentenze giudiziarie, a stabilire i criteri per individuare quale intervento sia effettivamente configurabile come ‘trattamento di sostegno vitale’, evitando così interpretazioni arbitrarie e indebitamente amplificate caso per caso”.