“Per un uomo di mare il porto è grembo, utero, luogo di riparo e giaciglio, luogo della fecondità e di vita, di generazione e ri-generazione. Ricorda il grembo della mamma: i suoi moli, infatti, sono come braccia aperte accoglienti; le sue lanterne, di destra e di sinistra, come stelle polari nei deserti d’acqua e di tenebra. Chiudere l’accesso non è, allora, scegliere la sterilità? Non considerare le donne e gli uomini esseri umani non equivale a praticare aborti su aborti, senza possibilità di obiezione di coscienza?”. Così il card. Francesco Montenegro celebrando a Lampedusa la Giornata del Mare organizzata dall’Apostolato del mare della Conferenza episcopale italiana, dalla Fondazione Migrantes e dall’arcidiocesi di Agrigento a dieci anni dalla visita di Papa Francesco nell’Isola. Il suo intervento nell’ultima tappa del percorso commemorativo partito dal sagrato della parrocchia dell’isola, passato per il porto e terminato alla Porta d’Europa. Lì l’intervento del cardinale, che accolse il Papa dieci anni fa.
È proprio di porto e di porta ha parlato il prelato. “Nella triste vicenda delle migrazioni questo nostro porto, da luogo di vita, è diventato approdo di salme, di esseri ‘mezzi vivi’: avamposto delle tumulazioni per i primi, primo luogo di ‘trattenimento’ per i secondi, considerati subito stranieri irregolari. Questo porto – ha detto il card. Montenegro – è testimone tanto del transito pietoso di numerosi morti, quanto delle vite estratte dalla morsa della morte. Vite salvate, nutrite, curate… da sanitari, forze dell’ordine, volontari, cittadine e cittadini mossi non importa se dalla fede o dal senso del dovere, certamente da compassione e tenerezza, che custodiscono prima nella pietà e poi nei loculi dei cimiteri”.
Dal porto alla porta: “Attraverso essa si scruta l’orizzonte e questo ha la forza di farci sognare: sognare la giustizia e avere orrore dell’infamia dell’iniquità sogniamo qui con Papa Francesco la gioia di mescolarci virgola di incontrarci virgola di prenderci in braccio virgola di appoggiarci. Sogniamo qui con tutte le persone di buona volontà, perché si scelga la civiltà dell’amore e non il suo naufragio. Sogniamo qui perché il brutto finale della storia di Caino e Abele abbia una diversa conclusione”.
Per l’arcivescovo emerito “nelle Lampedusa che sono Pythos, Cutro, Lesbo, Lampedusa… naufragano insieme il nome di Dio e i nomi delle sue figlie e dei suoi figli, delle sue bambine e dei suoi bambini, naufraga la civiltà. In nome di Dio che è Misericordia, torni il Mediterraneo a essere grembo di scambi fecondi, generatore di cultura, di fedi e di civiltà”.