Una serie di visite ad alto livello si stanno avvicendando negli ultimi giorni tra Pristina e Belgrado nell’ennesimo tentativo di arrivare ad una “deescalation” della tensione che attraversa il Kosovo dalla fine di maggio di quest’anno. Oggi a Pristina è arrivato Miroslav Lajcak, inviato speciale dell’Ue, mentre i primi ministri di Paesi Bassi e Lussemburgo – Mark Rutte e Xavier Bettel – sono già stati in visita nelle due capitali di Kosovo e Serbia. “Diminuire le tensioni è necessario non solo per la pace e la stabilità nella regione ma anche per ulteriori progressi verso l’integrazione europea”, ha detto Rutte ai giornalisti. “In termini concreti ciò significa il ritiro delle unità speciali della polizia del Kosovo dalle vicinanze degli edifici municipali nel Nord del Paese dove è presente la minoranza serba”, spiega oggi al Sir l’analista dei Balcani, Nikolay Krastev. E aggiunge che “il casus belli è stato proprio l’insediamento dei sindaci di origine albanese alla fine di maggio che ha provocato numerose proteste sfociate in violenti scontri con le forze Kfor in cui diversi militari sono rimasti feriti”. “La ragione è che i serbi non hanno partecipato alle elezioni municipali alle quali ha votato solo il 3,9% della popolazione di origine albanese”, continua.
“Nelle richieste dell’Ue infatti – rileva Krastev – figura anche il ritiro dei nuovi sindaci dagli edifici comunali e l’indizione di nuove elezioni nella parte settentrionale del Kosovo e successivamente la creazione dell’Associazione delle municipalità serbe”. Fino a questo momento però il premier Albin Kurti non ha risposto positivamente alle richieste europee ritenendole “contrarie alla Costituzione”. L’analista spiega che “Kurti vorrebbe indire nuove elezioni secondo le procedure previste, cioè serve una petizione firmata da oltre il 20% della popolazione locale ma ciò richiederebbe molto tempo, da 3 ai 6 mesi, mentre Bruxelles e Washington vogliono chiudere questo focolaio di tensione il prima possibile”.